Con queste parole, ed altre ancora, la mamma di Elena, in un estremo atto d’amore verso il suo compagno, tragico autore di una fatale dimenticanza, cerca di spiegare perché sia avvenuto questo fatto difendendo le buone intenzioni del suo partner.

Non è nostra intenzione entrare nell’episodio in sé. C’è qualcosa d’impensabile in esso che richiede l’astensione da qualunque giudizio di tipo professionale o etico. Lo prendiamo perciò solo come un pre-testo, essendo tra le altre cose l’ennesimo di una serie di episodi piuttosto analoghi, tutti tragici, nei quali il fattore psicologico appare centrale. Si tratta cioè di fatti che ricorrono ultimamente, che riguardano delle distrazioni, degli atti mancati, delle assenze (tipo black-out mentali).

Inoltre episodi come questo riguardano ed interrogano in qualche modo la genitorialità contemporanea, il rapporto che esiste oggi tra le generazioni.

Facile sarebbe servirsi di spiegazioni tranchant o generaliste del tipo: i genitori odierni sono immaturi e non avvertono o non tollerano più le responsabilità verso i figli, ma conclusioni del genere avrebbero il carattere forte e rassicurante della semplificazione, ma non coglierebbero la complessità della situazione. La sequenza danno-colpa sembra essere un automatismo inestirpabile dalla nostra mente, ma solo se si disinnesca o solo se si sospende è possibile operare una vera comprensione dei fatti.

Mi colpiscono dunque le parole della mamma di Elena quando dice: “non ci si ferma mai”. Mi fanno venire in mente un libro, Il tempo breve, dove l’autore, Marco Niada, ci avverte di come sia diventato complicato oggi per tutti noi distinguere ciò che è urgente da ciò che è importante. È forse in questa confusione che s’innestano le nostre disgrazie, nell’impossibilità cioè di sospendere il ciclo del rilancio continuo al quale la vita oggi costringe in una spinta apparentemente migliorativa e perfezionistica, ma a ben guardare si tratta solo di una nostra collusione con stili di vita che ci asserviscono. E allora non ti puoi fermare ed accontentarti di quello che hai già conquistato e semplicemente godertelo senza chiederti altro. No, perché gli impegni ti sovrastano, la vita ti assedia, e non è più chiaro dove sia la regìa che decide quali siano le tue priorità.

La perdita del senso del tempo e del senso delle cose importanti è una forma di alienazione divenuta ormai del tutto comune, e certi fatti ci avvertono che la corda l’abbiamo tirata fin troppo, e che ormai tende a spezzarsi. La maggiore rivoluzione che possiamo compiere allora deve poter avvenire a partire dalle nostre più comuni abitudini di vita quotidiane: i pasti, il sonno, il tempo, il lavoro, gli acquisti, le relazioni familiari e sociali, il rapporto con gli oggetti di uso comune.

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