Passerà alla storia questo 13 febbraio, giorno dell’orgoglio di genere. Ero in Piazza del Popolo a Roma. Le donne erano una maggioranza così schiacciante che sembrava di stare a un evento culturale (sì, perché lì , alle presentazioni di libri, riviste, poemi siamo sempre 85 a 15, su 100 persone). E poi: la piazza gremita e silenziosa. Stipate di folla anche le strade limitrofe.

Il palco gestito con precisione tecnica e sobrietà. L’attenzione. Il sorriso minaccioso delle donne. Il sorriso mesto degli uomini. Quelli che erano lì, a smarcarsi dalle barzellette di regime. Stavo davanti-davanti, appoggiata alle transenne che dividevano la zona palco dal catino della piazza. Immancabili, in zona palco, le donne della politica, accerchiate come sempre dai giornalisti. Livia Turco, la Melandri. Chissà perché non possono mai stare in mezzo agli altri, in mezzo alle altre, le professioniste della politica…. Anche Michele Mirabella era in zona palco, con tre ragazzine che se lo ridacchiavano, con i microfoni che si protendevano verso di lui. Chissà a che titolo era lì. Chissà che cosa aveva da dire. Ho pensato: a chi basta esserci e basta, fra i famosi? A chi basta esserci, ascoltare. Battere le mani. Eppure è questo il bello della partecipazione. Essere numero. Essere in mezzo a tutti. Fondersi. Sentirsi contemporaneamente forti perché migliaia e ininfluenti perché unità. Eravamo tante, davvero.

A dire la nostra differenza (bellissimo il discorso della Bocchetti: gli uomini non sanno fare a meno del potere, sono seduti sulla loro fortuna, sono seduti sulla loro poltrona). A dire la nostra volontà di ripulire questo paese dalla feccia. A dire che feccia sono Berlusconi e i suoi cinici sostenitori ( che cosa non si fa per uno stipendio, un privilegio, una poltrona!), non la ragazzetta che usa l’unico potere concesso alle donne, quello di far godere un uomo. Anche se non ti piace, anche se non lo ami, anche se ti fa schifo. Perché, porca miseria, è lì il problema: il potere, noi, non l’abbiamo mai perseguito. Le più fragili si accontentano del potere di suscitare desiderio. Esercitare il potere non ci piace. Preferiamo altre emozioni. Forse, se le cose continuano a precipitare, toccherà darcelo come obbiettivo. Conquistare il potere, proprio noi che non lo amiamo. Conquistarlo per tutte. Gestirlo in modo opposto. Come uno strumento per fare, non come un gigantesco fallo che fa godere solo chi lo possiede.

Articolo Precedente

Torniamo a coltivare
i nostri diritti

next
Articolo Successivo

Demagogia per respingere
demagogia per soccorrere

next