Ma chi l’ha detto che, se si vota, rivince il Cainano? Ora che i sondaggi danno il Pdl senza Fini al 28% (-10 sulle elezioni del 2008), la Lega al 12 (+ 2) e Fini al 6 (prim’ancora che fondi il partito), i leader del Pd potrebbero riattivare per un attimo le loro attività cerebrali, senza esagerare s’intende, e porsi una domanda semplice semplice: che senso ha seguitare a blaterare di governi tecnici, balneari, istituzionali, “di responsabilità” e altre ammucchiate politichesi? Che senso ha mostrarsi atterriti e tremebondi all’ipotesi di votare, dando l’impressione di aver già perso e di voler cacciare B. con manovre di palazzo, a tavolino, “a prescindere” dagli elettori? Un conto è la legittimità costituzionale di un governo diverso, che è fuori discussione: il fatto stesso che Cicchitto e Schifani dicano che non si può è la miglior prova che si può. Un altro conto però è l’opportunità di farlo. Certo, se in Parlamento esistesse una maggioranza pronta a rifare la legge elettorale per restituire il voto ai cittadini e a risolvere il conflitto d’interessi per levare tv e giornali a B., varrebbe la pena provarci. Ma siccome quella maggioranza non esiste, è inutile parlarne. Tanto poi, un giorno o l’altro, a votare bisognerà pur andarci. E allora tanto vale andarci in primavera (prima i tempi tecnici non lo consentono) costringendo B. a spiegare agli elettori il catastrofico flop della maggioranza più ampia della storia repubblicana, evaporata nel breve volgere di due anni. Rinviare tutto di un anno o più significherebbe invece regalargli una formidabile arma propagandistica e consentirgli di parlare non dei suoi fiaschi, ma dei “ribaltonisti” che volevano sovvertire la volontà popolare. Era da tempo che B. non se la passava così male. A parte le condizioni fisiche, impietosamente immortalate dalle immagini dell’altroieri quando s’è presentato a Palazzo Grazioli in tuta da benzinaio proferendo frasi sconnesse in spagnolo maccheronico (“estamos a la cabeza de la civilizaciòn”), sono le condizioni politiche che vanno a picco. Cacciando Fini e i finiani senza pallottoliere ha perso la maggioranza alla Camera e ora, se lo molla pure Pisanu, anche al Senato. Il linciaggio mediatico contro Fini e famiglia s’è rivelato un mezzo boomerang: il presidente della Camera è ancora in piedi e non ha perso nessun fedelissimo, nemmeno i morbidoni alla Moffa (nomen omen). Il vertice domiciliare con la servitù ha partorito un documento di 13 pagine che si può riassumere in tre parole: “Salvatemi dai processi”. Sai che novità. Se a dicembre la Consulta gli boccia il legittimo impedimento, a gennaio torna imputato e a primavera potrebbe essere condannato per Mills e per Mediaset. Ovvio che, per batterlo alle elezioni, questo Pd a encefalogramma piatto non basta. Ma chi l’ha detto che il Pd debba restare così? Dipende dagli elettori di tutto il centrosinistra: solo loro possono costringerlo a cambiare, prepensionando il museo delle cere che lo dirige. Per questo, su ilfattoquotidiano.it, abbiamo lanciato le primarie online, che in tempo di vacanze hanno già raccolto 20 mila risposte in tre giorni. Proviamo per un attimo a immaginare se, al posto di Bersani, ci fosse Nicola Zingaretti. Ha 45 anni, governa bene la Provincia di Roma, dove ha vinto le elezioni mentre Rutelli le perdeva, non è chiacchierato, non ha scandali né scheletri nell’armadio, ha una bella faccia pulita e normale, è pure il fratello del commissario Montalbano (il che non guasta), non s’è mai visto a Porta a Porta, ha ottimi rapporti con Vendola e parla un linguaggio che piace ai dipietristi. Intervistato da IoDonna, alla domanda “La qualità che preferisce in un uomo?”, ha risposto “L’onestà”. “E in una donna?”. “L’onestà”. Poi ha mandato a quel paese Chiamparino sulla batracomiomachia pro o contro l’invito a Cota alla festa del Pd: “Basta con la subalternità culturale alla destra, basta dare corda al Pdl o alla Lega in cambio di qualche spazietto su giornali e tv”. C’è chi, con molto meno, potrebbe perfino vincere le elezioni.

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