Gaspare Spatuzza in una elaborazione di Manolo Fucecchi

Gaspare Spatuzza continuerà a collaborare con la giustizia, nonostante un pezzo dello Stato- il Governo- gli abbia sbattuto la porta in faccia. Di più. Negandogli il piano di protezione a cui hanno diritto i pentiti, per legge,  è come se avesse detto non solo a lui  ma a tutti gli aspiranti collaboratori, che conviene stare zitti. Soprattutto è meglio non farsi gli affari dei politici.
“Sono ravveduto e pentito per quello che ho fatto, quindi andrò avanti, nonostante sia completamente solo”, ha detto al suo avvocato, Valeria Maffei, che lo ha incontrato nei giorni scorsi. “ E’ molto amareggiato perché la decisione della Commissione lo fa sentire abbandonato – racconta il difensore – ma il mio assitito ha detto che continuerà ad avere fiducia nella giustizia rappresentata dai magistrati”. Spatuzza ha sostenuto  di voler “ portare avanti un pezzo di verità che riguarda tutta l’Italia. Quella sulla guerra di cosa nostra contro lo Stato, o parte di esso”. E’ consapevole delle atrocità che ha commesso: le stragi e decine di omicidi: “ Si veste sempre di nero perché è in lutto perpetuo. Pensa sempre alle vittime – conclude  Maffei – vede la pena come la giusta espiazione dei suoi  peccati”.
La commissione centrale del Viminale, presieduta dal sottosegretario Alfredo Mantovano, il 15 giugno ha rigettato la richiesta di ben tre procure: Firenze, Caltanissetta e Palermo, supportate dalla Direzione nazionale antimafia. Secondo molti esperti e secondo l’opposizione, ha interpretato in maniera strumentale la legge del 2001 che prevede l’obbligo per i “collaboranti” di elencare entro i 180 giorni gli argomenti di cui si vuole parlare con la magistratura. Nel documento, che ilfattoquotidiano.it ha visionato,  e che mette a disposizione di tutti,  si sostiene che l’ex reggente della cosca di Brancaccio ha reso fuori tempo massimo  le dichiarazioni sui presunti rapporti dei boss Graviano con Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. Quindi non ha diritto ai benefici e alla tutela che spettano ai pentiti.
C’è scritto a pag 5:”….Quanto dal medesimo Spatuzza riferito in epoca di gran lunga successiva allo scadere del limite dei 180 giorni non costituisce un semplice approfondimento di informazioni già fornite, né appare trascurabile o marginale, al punto di essere privo di qualsiasi rilievo….”. La Commissione si riferisce al racconto di Spatuzza reso prima ai magistrati inquirenti nella primavera-estate 2009 e poi il 4 dicembre scorso al processo d’appello a Dell’Urtri, su un incontro del gennaio ’94 a Roma, al bar Doney, dove il capomafia Giuseppe Graviano gli avrebbe detto: grazie a Berlusconi e al “ compaesano” Dell’Utri  “ abbiamo il Paese nelle nostre mani”.
Per le procure che hanno chiesto la conferma del piano di protezione, quelle dichiarazioni rappresentano un approfondimento di quando detto da Spatuzza nei primi 6 mesi di collaborazione. Invece, secondo la Commissione,  sono  “tardive” e  rappresentano una “ novità assoluta”.
In realtà Spatuzza già nel primo periodo di collaborazione ha accennato ai rapporti, per esempio, di Dell’Utri con Vittorio Mangano. Ma se anche avesse ragione il Viminale, proprio in base alla legge del 2001 la Commissione avrebbe dovuto comunque confermare il piano di protezione. L’ex mafioso si è autoaccusato delle stragi di via D’Amelio, Capaci  e di 40 omicidi entro i 180 giorni. Dopo un un anno invece ha riferito solo le notizie “ de relato”, cioè apprese da altri, anche su Berlusconi.
Spiega Luigi Li Gotti, senatore Idv e storico avvocato di pentiti come Masino Buscetta e Giovanni  Brusca: “A questo proposito la legge è chiara. Stabilisce, in base all’articolo 194 del codice, che le dichiarazioni da fare entro quel tempo devono riguardare fatti vissuti direttamente. Per quelli acquisiti de relato  non c’è il limite dei 180 giorni. Anche la Cassazione ha confermato questa interpretazione, citata dalla Direzione nazionale antimafia che si è espressa a favore del programma  di protezione. La Commissione ha forzato la norma per applicare un trattamento oggettivamente di sfavore nei confronti di Spatuzza. Si tratta – conclude Li Gotti – di una decisione giuridicamente sballata e politicamente inquietante. Così si indebolisce fortemente il contrasto alla mafia”.
Nella relazione firmata da Mantovano, per supportare la tesi che Spatuzza ha disatteso la legge, si citano anche stralci dei pareri delle procure interessate. Ma solo  quelli del periodo in cui avevano dubbi sulla collaborazione del boss stragista. Leggiamo che il procuratore di Palermo, Francesco Messineo il 17 febbraio 2010 scriveva: permangono “ riserve in ordine all’effettiva e piena ‘apertura’ dello Spatuzza…”. Mantovano ricorda anche che il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, parlava di asserzioni “ non del tutto convincenti” e di “ fondati dubbi di attendibilità”.  Nessun riferimento, invece, alle positive relazioni finali delle procure che dopo la decisione del Viminale, hanno confermato il loro giudizio sull’attendibilità di Spatuzza. “ Non cambia nulla: per noi Spatuzza era e resta attendibile, ha dichiarato il procuratore di Firenze, Giuseppe Quattrocchi. Motivatissime sentenze della Cassazione a sezioni riunite stabiliscono che le dichiarazioni sono utilizzabili nel dibattimento anche se rese dopo i 180 giorni. Noi  avevamo avanzato la richiesta di ammissione al programma di protezione ritenendo” che le dichiarazioni “fossero collocabili nei 180 giorni, nei quali ha anticipato i termini delle rivelazioni sulle quali poi sarebbe sceso nel dettaglio”.
Il pm di Palermo Nino Di Matteo, che insieme all’aggiunto Antonio Ingroia sta indagando sulla trattativa Stato-mafia,  ha sottolineato come la decisione della Commissione  sia “ senza precedenti”.
E presa – ci risulta – con il parere contrario,  e argomentato per due ore,  dai due magistrati della Direzione nazionale antimafia che fanno parte della Commissione. Con Mantovano si sono invece schierati i 4 su 5 componenti delle forze di polizia, presenti alla riunione. L’ex presidente della Commissione parlamentare antimafia e attuale membro del Pd, Giuseppe Lumia,  non ha dubbi sulla natura politica di quanto accaduto:” E’ un messaggio al Paese: i collaboratori sono utili  solo quando parlano dell’aspetto militare. Il Viminale ha utilizzato un escamotage burocratico per colpire le dichiarazioni di Spatuzza sui rapporti mafia e politica al tempo delle stragi ’92-‘93. C’è una manipolazione della legge”.
L’avvocato  Maffei ha già annunciato che presenterà ricorso contro la decisione del Viminale. Saranno i giudici del Tar del Lazio a doversi esprimere. Vedremo se – come pensano anche i magistrati- non c’erano i termini giuridici per respingere il piano di protezione a Spatuzza.

Il documento della commissione del Viminale che nega il piano di protezione a Spatuzza.

Articolo Precedente

File audio e ricatti: il caso Favata

next
Articolo Successivo

Cervelli in fuga

next