L’Unione Sovietica si è dissolta ormai da più di tre decenni, ma quanto succede in Russia ha ancora un forte impatto lungo tutto l’arco di quello che un tempo fu il territorio controllato da Mosca. Questo è ancora più evidente in vista di un appuntamento come le elezioni presidenziali che si svolgeranno nella Federazione tra il 15 e il 17 marzo. Dall’esito già scritto e caratterizzate dalla soppressione di qualsiasi forma di opposizione o dissenso, come sottolineato a più riprese dalle Nazioni Unite, ma alle quali Vladimir Putin pare voler arrivare ribadendo il ruolo del Cremlino in una certa parte di mondo.

A dargli il primo assist è stata la Transnistria: il Parlamento della repubblica autoproclamatasi indipendente dalla Moldavia e non riconosciuta a livello internazionale a fine febbraio ha fatto appello alla Russia per ottenere aiuto contro il presunto blocco economico imposto da Chisinau. Un richiamo a cui le autorità russe hanno risposto, al momento solo sulla carta, favorevolmente. Il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha approfittato dell’occasione anche per un durissimo attacco al governo moldavo. Dalla Turchia, dove si trovava per prendere parte al Forum diplomatico di Antalya, ha avvertito senza mezzi termini l’esecutivo che agli occhi russi starebbe seguendo le orme di quello dell’Ucraina. Con tutto quello che ciò significa.

Dopo qualche giorno, ad alzare la posta è stata un’altra entità territoriale autonoma moldava, la Gagauzia. La leadership della regione ha chiesto a Mosca di consolidare e rafforzare i rapporti bilaterali per evitare che il governo centrale moldavo porti avanti la sua presunta politica di oppressione della minoranza locale. La Gagauzia è abitata da circa 160mila persone ed è guidata da una leader politicamente vicina a un’imprenditrice controversa e che ha stretti rapporti con il Cremlino. Inutile dire che la Russia si è affrettata a rispondere a questo “grido d’aiuto”: il consiglio federale russo ha infatti dichiarato la volontà di approfondire la relazione e di entrare in campo per impedire qualsiasi repressione dell’identità locale della Gagauzia.

Non solo all’Europa dell’est guarda però Putin per alimentare la propria propaganda e mostrarsi internamente come uno strenuo difensore degli interessi russi. Il portavoce in questo caso è stato il suo ministro della Difesa, Sergej Shoigu, che ha parlato di una regione a cui il Cremlino tiene molto per il suo grande potenziale geopolitico, l’Asia Centrale. Shoigu ha affermato che nei Paesi dell’area operano oltre un centinaio di grandi ong filo-occidentali, organizzazioni che, a suo dire, avrebbero notevolmente incrementato la loro attività antirussa dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Presunto obiettivo: ridurre la cooperazione tecnico-militare, economica e culturale dei paesi dell’Asia Centrale con la Federazione Russa.

Il governo del Kazakistan ha lasciato passare solo poche ore prima di far sentire la propria voce contraria, per quella che a tutti gli effetti è stata una messa in discussione, solo l’ultima di una lunga serie, della sovranità delle repubbliche locali. Questa risposta non ha impedito però al neonominato primo ministro kazaco di recarsi in Russia nel suo primo viaggio all’estero per rafforzare ulteriormente la relazione bilaterale, già estremamente solida. Un grande classico la visita a Mosca dopo la nomina o l’elezione per i funzionari centroasiatici di alto livello.

La paura delle ong è tale che in Kirghizistan è inoltre in fase avanzata di approvazione una legge che ricalca quella russa su queste tipologie di organizzazioni e che ne limita molto o ne impedisce l’attività in caso siano finanziate dall’estero. Un processo che sta avvenendo con il beneplacito del Cremlino. Su questo tema c’è stato anche un insolito scambio di dichiarazioni molto dure tra il presidente kirghiso, Sadyr Japarov, e il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, che aveva sottolineato la preoccupazione di Washington per il deteriorarsi del rispetto delle libertà nella repubblica centro asiatica.

La volontà di Putin di tenere strette a sé le repubbliche post-sovietiche è figlia sia di necessità propagandistiche sia di bisogni molto più concreti. Secondo quanto riportato da Bloomberg, sarebbero oltre 100mila i lavoratori provenienti dall’Asia Centrale, dal Caucaso e dalla Moldavia assoldati per realizzare ampi progetti di ricostruzione nei territori ucraini sotto il controllo di Mosca. Questi lavoratori, spesso inconsapevoli della vera natura di quanto viene loro offerto e attratti dalle condizioni di impiego molto più vantaggiose della media, non sono coinvolti solamente nelle attività di ricostruzione, ma si sarebbero anche trovati inconsapevolmente in zone di combattimento. Che vi sia o meno la volontà di allontanarsi dalla Russia, per molte delle repubbliche post-sovietiche Putin è destinato a rimanere anche dopo il 17 marzo un alleato o un convitato di pietra tanto influente quanto ingombrante.

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