David Rossi non è stato né ucciso né istigato da altri a togliersi la vita. Il manager del Monte dei Paschi di Siena, la sera del 6 marzo 2013, si è gettato spontaneamente dalla finestra del suo ufficio del terzo piano di Rocca Salimbeni. Il gip del tribunale di Siena, Roberta Malavasi, ha messo così la parola fine al caso David Rossi, il capo della comunicazione di Mps, amico e ombra dell’ex presidente, Giuseppe Mussari. Un caso che per molti ha ormai conquistato un capitolo nel libro delle morti misteriose della storia del nostro Paese.

In 57 pagine di motivazione del decreto di archiviazione, il gip Malavasi, ripercorre i passaggi dell’intera vicenda per sancire che seppur non vi sia “prova certa oltre ogni ragionevole dubbio della ricostruzione” della morte di David si deve ritenere un suicidio e non un omicidio per “ragionevole certezza”. Gli avvocati dei familiari di Rossi si sono visti rigettare la richiesta di nuove indagini e persino le nuove perizie di parte depositate ma hanno annunciato l’intenzione di proseguire nella ricerca di una verità. Secondo i legali Luca Goracci e Paolo Pirani, che difendono rispettivamente la vedova e i familiari di Rossi, sono ancora molte, troppe le falle della ricostruzione effettuata dalla procura e sposata dal gip. Di fatto è la seconda archiviazione sul caso Rossi. E questa seconda sottolinea molti degli errori commessi nella prima, avvenuta nel marzo 2014. Il giudice Monica Gaggelli commise alcune sviste errori, alcune delle quali sottolineate ora da Malavasi. Ad esempio l’ora della morte di Rossi: avvenuta alle 19.43 e non, come sostenuto nella prima archiviazione, alle 20.12. Due testimoni sostennero di aver visto la porta dell’ufficio di David prima aperta e poi chiusa. Ebbene Gaggelli si spinse a certificare che alle 20, quando uno dei due testimoni passa di fronte alla porta, non vede David perché questo si era nascosto in bagno. In realtà era già cadavere in vicolo di Monte Pio. Malavasi, invece, conclude che la porta era aperta e poi è stata trovata chiusa perché “basta alle volte una folata di vento entrata da una finestra aperta”. Poche righe dopo però ricorda come nessuno abbia sentito alcun rumore.

Insomma i dubbi su quanto avvenuto la notte del 6 marzo 2013 rimangono ancora molti. Malavasi sottolinea la carenza di prove a carico di un ipotetico omicidio, ma tra le righe di queste 57 pagine è scritto che in realtà c’è stata una carenza di indagini iniziali. Persino reperti fondamentali, come i vestiti o i fazzoletti di carta sporchi di sangue rinvenuti nell’ufficio di David, non sono mai stati analizzati e anzi sono stati distrutti dai pm. O l’acquisizione dei tabulati per capire chi era presente nella sede di Mps e nel vicolo dove David è stato trovato morto, è stata richiesta solamente pochi mesi fa ottenendo per risposta dagli operatori telefonici una comunicazione ovvia: “Non è possibile adempiere alla richiesta perché come previsto dalla legge i tabulati vengono conservati per 24 mesi”. Di fatto Malavasi scrive che oggi ulteriori indagini “si preannunciano superflue”.

Va detto che il gip ha tenuto conto di alcune delle contestazioni sollevate dai legali dei familiari di David, in particolare quelle relative alle conclusioni dei periti nominati dai magistrati, il colonnello del Ris Davide Zavattaro e il medico legale Cristina Cattaneo, in particolare per quanto riguarda la ricostruzione della caduta di David. Scrive Malavasi: “Gli oppositori contestano il risultato dell’accertamento che non sarebbe attendibile (…), osservazione sulla quale non si può che convenire e che par essere stata tenuta ben presente anche dai consulenti. (…) Proprio per questa ragione non appare utile insistere sul piano degli accertamenti scientifici, il cui risultato sarebbe in ogni modo opinabile”.

Ai rilievi sulle ferite trovate nella parte anteriore del cadavere di Rossi, ritenute “non compatibili con l’impatto al suolo” ma anzi dovute a una “precedente colluttazione”, Malavasi non dedica alcuna attenzione. Così come alle evidenze sull’uso del telefonino di David mentre lui era già precipitato. O le varie incongruenze sul video della caduta. Ritenendo il tutto forse superfluo o, comunque, ininfluenti a escludere una nuova archiviazione. Scrive Malavasi: “Come ben si comprende, non essendo note le singole azioni in cui si concretizzò l’evento, non è possibile una verifica puntuale del nesso di derivazione, che non può essere apprezzato se non in termini di compatibilità/incompatibilità con l’unica ipotesi ricostruttiva dotata di riscontro fattuale”. Cioè il suicidio. Il riscontro fattuale? I biglietti scritti da David e ritrovati strappati nel cestino del suo ufficio. Tre tentativi di salutare sua moglie, Antonella Tognazzi. Sono la certezza alla quale il gip avvinghia la sua decisione: è suicidio. I familiari la pensano diversamente. Per loro l’unica certezza è ancora oggi che David sia morto.

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