È passata la linea del rettore Gianluca Vago: nell’anno accademico 2017/2018 il numero chiuso diventa realtà anche nei corsi di laurea delle facoltà umanistiche dell’università Statale di Milano. Nonostante le proteste degli studenti e l’appello firmato da 150 docenti. Nonostante il Senato accademico, chiamato a votare la ‘rivoluzione’, operativa da settembre, si sia spaccato. A favore della mozione proposta dal rettore Gianluca Vago hanno votato in 18, i contrari sono stati 11, mentre in 6 si sono astenuti. Sostengono i promotori del numero chiuso nelle facoltà umanistiche che il rischio era di non poter attivare tutti i corsi di laurea. Di diverso avviso le associazioni studentesche e oltre cento professori, secondo i quali esistevano almeno delle soluzioni tampone per discutere dell’epocale cambiamento che tocca Lettere, Filosofia, Storia, Beni culturali e Geografia. Nel prossimo anno accademico saranno a numero chiuso: 2.260 studenti, non uno in più.

Le ragioni vanno ricercate in un decreto approvato a dicembre dal ministero dell’Istruzione che ha cambiato il rapporto massimo tra studenti e professori, fissando vincoli più rigidi, perché i corsi possano ottenere l’accreditamento. Con il numero di docenti a disposizione in questo momento, i vertici della Statale hanno paventato il rischio di non poter far partire i corsi ad ogni accademico. “Non è vero, esistevano soluzioni tampone per avviare una discussione approfondita”, ribattono le associazioni studentesche che con un blitz durante la discussione, lo scorso 16 maggio, avevano interrotto i lavori e costretto il Senato a rimandare la decisione. “Hanno ignorato la mozione dei direttori dei dipartimenti umanistici: eccezion fatta per Lingue, tutti erano per il test di autovalutazione non vincolante”, spiega il coordinatore nazionale di Link, Andrea Torti, a ilfattoquotidiano.it. Tutto questo mentre la Statale, secondo il rappresentante degli studenti Davide Quadrellaro, “si impegna per almeno 130 milioni nello campus accanto allo Human Technopole”.

Ed è lì, nell’investimento nella sede di Expo 2015, che affonderebbe la radice più profonda della decisione, secondo gli studenti: “In Statale esiste una questione legata ai requisiti di accreditamento, ma c’è anche ad Economia a Torino, tanto per intenderci. Ognuno può trovare la soluzione che meglio crede. A Milano, come avvenuto in Piemonte, si sarebbero potuti spostare alcuni docenti di materie umanistiche incardinati in altri corsi affini per scongiurare il numero chiuso”, dice Torti a ilfattoquotidiano.it. La Statale, secondo il coordinatore di Link, ha fatto invece una scelta ‘politica’ e strategica: “Ha deciso di spendere altrove i risicati spazi di manovra concessi dal ministero per le assunzioni – afferma – in particolare nel settore scientifico e medico, quello più vicino al rettore. Una mossa fatta anche nell’ottica dell’investimento nel campus”. Una ricostruzione che l’ufficio stampa dell’università, contattato da ilfatto.it, smentisce categoricamente sia nella parte relativa ai fondi da destinare alla nuova sede dei dipartimenti scientifici che delle soluzioni alternative: “Fossero state fattibili, sarebbero state vagliate”, dicono.

In ogni caso, la questione di fondo, concordano studenti e docenti, resta la mancanza di finanziamenti ed organico. Con il turn over bloccato dal 2009 e con il semplice rimpiazzo di chi andrà in pensione previsto nel prossimo anno, il numero dei professori resta insufficiente. Non solo alla Statale di Milano, ma in molte università italiane. Da Torino a Bologna, fino a Roma e Salerno. “L’aumento del numero degli studenti viene sempre rappresentato come un problema da risolvere nonostante l’Italia abbia una percentuale di laureati di molto inferiore alla media europea – scrivevano alcuni giorni fatti gli studenti al ministro Valeria Fedeli – Le contraddizioni interne a questo sistema sembrano allora emergere tutte insieme. La più macroscopica riguarda la natura stessa dell’università statale come servizio pubblico: in quanto tale essa dovrebbe potenzialmente consentire l’istruzione superiore a tutti”.

Tuttavia la cronica mancanza dei fondi costringe gli atenei a contingentare sempre di più il numero degli studenti. Secondo le associazioni, quindi, una sola soluzione generale è possibile: “Il rifinanziamento dell’università ed una ristrutturazione dei meccanismi di finanziamento affinché le risorse siano commisurate alle necessità degli Atenei, un piano straordinario di reclutamento, che permetta di coprire il reale fabbisogno e di stabilizzare tanti precari della ricerca, un’adeguata programmazione ordinaria del reclutamento per il futuro”. Mentre 150 professori hanno firmato una petizione lanciata dai colleghi di Lettere, augurandosi che si riuscisse a trovare una soluzione condivisa e ci fosse il tempo di analizzare i dati relativi alle iscrizioni prima di prendere una decisione così drastica. Chiedevano, insomma, che il Senato non deliberasse e che si aprisse un dibattito “su dati aggiornati ed esaustivi”, oltre che “sull’individuazione esplicita di obiettivi strategici di area di ateneo in relazione allo sviluppo dell’offerta formativa”. Il Senato accademico ha tirato dritto, chiudendo anche il numero delle facoltà umanistiche. “Non faranno altro che innescare l’ennesimo effetto domino, come accaduto con la chiusura di Scienze Politiche due anni fa – conclude Torti – Chi non entrava lì, si è spostato nei corsi umanistici. Ora cercherà altrove la propria strada”.

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