A Trento puoi spaziare dai dinosauri del Muse alla sotterranea città romana, l’antenata Tridentum, dalle Gallerie (tunnel autostradali dismessi, al cui interno sono allestite mostre d’arte gratuite lunghe trecento metri), alle tante, forse troppe, scritte antagoniste sui muri. Lettere in maiuscolo rosso che inneggiano a rivolte e rivoluzioni, aggressive verso politici, magistrati e società civile borghese. Forse, l’isola felice non sta più neanche qua, tra l’Adige che scorre corposo e il verde brillante tutt’attorno. Verdi come sono le fioriere del residence Le Albere, posto proprio accanto al grande museo progettato da Renzo Piano, dove pochi giorni fa un padre ha ucciso, prima di suicidarsi, le sue due bambine.

Il fascino e il mistero di questa città, che pare al tempo stesso laboriosa e sonnacchiosa, accerchiata dalle montagne che la proteggono e la stringono, fanno da sfondo alla curiosa iniziativa, produzione targata Trento Spettacoli nell’alternativo, vitale, giovane e frequentato Spazio off. Una serie di quattro puntate a teatro. L’idea attira e interessa, intriga e stimola chi di solito va a teatro e quelli che hanno ormai ceduto alla despota televisione. Eppure, tra tv, cinema e letteratura, il poliziesco, nelle varie declinazioni noir o giallo, ha sempre affascinato, vuoi per la divisione tra bene e male, con il primo che la maggior parte della volte vince, la sensazione di sicurezza perché hai la percezione che qualcuno ci stia proteggendo, l’esorcizzazione delle paure e insicurezze proprie dei cittadini metropolitani.

La lista è lunga e scende come tradizione e ispirazione da Simenon ad Agatha Christie (rappresentatissima a teatro), passando per Colombo e Derrick, da Kojak alla Signora in Giallo, fino ad arrivare alle serie tv di stampo americano più seguite e applaudite: Dexter e Breaking Bad come Broadchurch o The Bridge, CSI, Gotham e Fortitude, Luther e The killing. Ma vedersi a teatro, lì davanti a te, ispettore e maniaco, poliziotto e assassino, fa sempre un certo effetto, regala sempre la sua bella dose di brividi. “Se c’è una pistola prima o poi sparerà“, spiegava Cechov.

La serialità sul palcoscenico fidelizza il pubblico (accudito, ad ogni finale, con il cocktail che i protagonisti bevono in scena, questa volta era il Godfather cocktail: whisky e amaretto di Saronno) con quel suo carico di autoironia ed è qualcosa di relativamente raro ma che, ad ogni tentativo, fa clamore e fa sbocciare energie nuove. Nella scorsa stagione, al Teatro Astra di Torino erano state otto le puntate sold out de I tre moschettieri, con altrettanti registi differenti. Manuela Cherubini qualche stagione fa aveva rilanciato con le dieci puntate della teatronovela Bizarra, al Teatro Sociale di Como; invece, lo spettacolo a puntate Lo strano caso della donna che morì due volte era diviso in quattro parti.

Quattro sono anche le uscite del piccolo ma coinvolgente Kill me, spettacolo trentino messo in piedi dalla triade Daniele Filosi, Maura Pettorruso, Stefano Detassis e recitato nel compatto, stretto e caloroso Spazio Off per un risultato che ha fatto immergere la platea nella vicenda, ad un passo da una verità che ad ogni battuta veniva sconfessata, stravolta, centrifugata, distorta. Una puntata al mese, da dicembre a marzo, ognuna con un tema portante: natale, saldi, carnevale, primavera. Come nella migliore tradizione, tutti potevano essere i colpevoli: la sicura Pettorruso, che ne è anche l’autrice, segue spunti e riflessioni del pubblico nate sui social riguardo ad un trend topic affollato, il pungente Detassis e la colorita attrice spagnola Sara Rosa Losilla, ex Fura dels Baus.

Dialoghi serrati, veloce ping pong dialettico senza posa, possibilità delittuose che si rincorrono e opportunità del reato che s’inseguono, sospetti che si moltiplicano per una resa dei conti da Far West, tra ricatti, spiegazioni e un ultimo coup de theatre ansiogeno ed elettrizzante per, finalmente, tirare giù la maschera del responsabile. Per la prossima stagione, visto il successo dell’esperimento, l’esperienza del format dovrebbe essere ripresa con nuovi plot (con più personaggi crescerebbe la suspense). Questa serialità teatrale potrebbe essere portata nei tanti piccoli teatri della provincia e della regione, un genere facile ma non banale, accessibile e fruibile anche da chi, forse, a teatro non va poi molto per paura della pomposità, dell’incomprensibilità, degli intellettualismi di maniera che in molti casi hanno preso purtroppo campo. “Kill(ing) me softly”, diceva il poeta hip hop.

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