Nascere con una rara immunodeficienza dell’infanzia chiamata ADA-SCID, la leucodistrofia metacromatica o la sindrome di Wiskott-Aldrich oggi non è più una condanna certa, perché “sono stati fatti importanti passi avanti grazie alla ricerca scientifica effettuata in Italia sulla scoperta dei meccanismi che producono alcune malattie genetiche” e, cosa più importante, anche “per la cura di patologie considerate da sempre incurabili”. A dirlo a ilfattoquotidiano.it è Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Tiget) di Milano. Ora è realtà il miglioramento della qualità di vita di molti pazienti ed è più vicina la possibilità di una loro guarigione. E con la “terapia genica abbiamo dimostrato che i progressi sono ancora maggiori. Sono cinquanta oggi le persone, prevalentemente bambini, che grazie a questa procedura hanno visto la loro esistenza cambiare in meglio”, aggiunge Naldini.

Siamo di fronte a una “congiuntura positiva della scienza che dopo 20 anni sta vedendo risultati clinici positivi”, attraendo non solo l’attenzione delle ricerca ma anche quello della grande industria farmaceutica, che guarda con crescente interesse a nuove terapie basate su cellule, virus e geni. “Lo scorso maggio – sottolinea il direttore del Tiget – la Commissione europea ha approvato la prima terapia genica per il trattamento di una rara immunodeficienza chiamata ADA-SCID, meglio conosciuta come sindrome dei bambini bolla”, una delle patologie su cui il professore e il suo gruppo di ricercatori stanno lavorando da tempo.

Quali sono i vostri innovativi studi sulle malattie genetiche?
La caratteristica più distintiva dell’SR-Tiget è che esprime al meglio quella che oggi definiamo la medicina traslazionale, coniugando l’eccellenza scientifica garantita dal metodo Telethon” con la qualità clinica di un grande ospedale. È proprio grazie a questo modello, davvero visionario se pensiamo che la nascita dell’istituto risale al 1995, che oggi molte delle intuizioni nate in laboratorio sono diventate terapie efficaci per i pazienti. Lo scorso maggio è stata infatti approvata la prima terapia genica al mondo con cellule staminali per la cura di una rara immunodeficienza dell’infanzia chiamata ADA-SCID, sviluppata grazie ad anni di ricerca nei nostri laboratori e resa poi disponibile sul mercato con il nome di Strimvelis grazie all’alleanza strategica tra Fondazione Telethon, Ospedale San Raffaele e GlaxoSmithKline. Una partnership che nel prossimo futuro potrebbe tradursi in terapie anche per altre malattie in fase avanzata di sperimentazione sui pazienti, quali la leucodistrofia metacromatica, una grave malattia neurodegenerativa dell’infanzia che compromette lo sviluppo motorio e cognitivo, e la sindrome di Wiskott-Aldrich, un raro difetto del sistema immunitario caratterizzato anche da autoimmunità. Da un anno, inoltre, stiamo testando l’efficacia della terapia genica anche sulla beta talassemia, malattia genetica particolarmente diffusa nell’area mediterranea: se efficace, la terapia genica potrebbe liberare definitivamente questi pazienti dalla necessità continua di trasfusioni.

Perché considerate le terapia genica un grande successo?
Dopo oltre vent’anni di ricerca la terapia genica si sta quindi rivelando fattibile, efficace, in grado di modificare la storia naturale di patologie gravi grazie alla somministrazione di versioni funzionanti di geni. È grazie alla ricerca che abbiamo capito come farlo in modo controllato e sicuro, quali vettori fossero più adatti e come “convincere” l’organismo ad accogliere questi farmaci così speciali senza rigettarli. Siamo però ancora all’inizio e dobbiamo continuare con la ricerca e la sperimentazione clinica per confermare l’efficacia e la sicurezza di queste terapie sul lungo periodo. Non solo: accanto agli studi clinici la ricerca in laboratorio continua su altre malattie, tra cui l’emofilia e altri difetti del sistema immunitario, ma anche su altre tecniche di correzione genica ancora più sofisticate che prevedono l’impiego di veri e propri bisturi molecolari dalla precisione “chirurgica”.

Ci racconta la sua esperienza in una delle principali charity scientifiche e l’importanza di fare ricerca in Italia?
La Fondazione Telethon ha avuto per noi un ruolo fondamentale, innanzitutto perché ha avuto il coraggio e la lungimiranza di investire nella terapia genica in anni in cui questa prospettiva era ancora vista con scetticismo o comunque era ben lontana dalla sua applicazione clinica. Non solo: questa charity italiana è stata in grado di importare nel nostro Paese le migliori prassi internazionali di selezione della ricerca e di rendere “attrattivo” un tema di nicchia come quello delle malattie genetiche. Che sono rare, è indubbio, ma proprio per questo sono un formidabile terreno di studio per comprendere i meccanismi fondamentali della vita.

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Mettendo a disposizione finanziamenti regolari, assegnati secondo criteri chiari e meritocratici, Telethon ha fatto crescere una vera e propria comunità scientifica di eccellenza dedicata allo studio delle malattie genetiche rare nel nostro Paese. Io stesso, che ho lavorato per tanti anni negli Stati Uniti e ho senza dubbio beneficiato di un lungo periodo di lavoro all’estero, posso dire di aver trovato nell’SR-Tiget il contesto ideale in cui far fruttare la mia esperienza e metterla anche a disposizione di giovani scienziati di valore.

Qual è il valore che ricoprono i pazienti nella sua attività professionale?
Per chi come me non fa pratica clinica vedere i risultati del proprio lavoro tradursi in terapie efficaci ha un valore inestimabile, per nulla scontato. Io mi sento molto fortunato in questo senso: ci sono colleghi di grandissimo valore che pur dedicando l’intera vita alla ricerca non hanno il privilegio di vederne l’impatto sui pazienti. Sono cinquanta oggi le persone affette da una malattia genetica, prevalentemente bambini, che grazie alla terapia genica hanno visto la loro vita cambiare in meglio. Vengono da tutto il mondo, hanno alle spalle storie dolorose e accettando di sottoporsi a un trattamento nuovo come la terapia genica si sono completamente affidati a noi. Questa è innanzitutto una grossa responsabilità, ma anche una opportunità straordinaria: noi impariamo tantissimo dai pazienti, seguirli nel tempo ci dà la possibilità di capire cosa funziona e come invece possiamo migliorare la terapia, perché sia sempre più sicura ed efficace. Un pensiero e un ringraziamento particolare vanno ai genitori di quei bambini affetti da leucodistrofia metacromatica che, pur sapendo che non avremmo fatto in tempo per i loro figli, hanno accettato di prendere parte allo studio di storia naturale, che ci ha consentito di conoscere meglio questa terribile patologia. È per questo che quando abbiamo pubblicato i primi risultati dello studio clinico su una delle riviste scientifiche più importanti del mondo abbiamo voluto ringraziarli e ricordarli uno per uno, con i loro nomi. Ci sono anche i loro volti tra le foto che adornano le pareti del nostro istituto, che si riempiono anno dopo anno delle immagini dei nostri pazienti mentre sono a scuola, in vacanza, in cortile a giocare. Vederli ci ricorda perché e per chi lavoriamo, anche  tra le pareti del laboratorio.

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