Giù le mani da Mediaset. Se il peso politico di Silvio Berlusconi è ancora tutto da rivalutare, altrettanto non si deve dire di quello imprenditoriale. Lo rivendicano sia lo stesso leader di Forza Italia messo alle strette dalla scalata di Vincent Bolloré a Cologno Monzese, sia il governo fresco di fiducia al Senato. “L’acquisto di azioni Mediaset da parte di Vivendi (arrivata nel frattempo al 20% di Cologno, ndr), non concordato preventivamente con Fininvest, non può essere considerato altro che un’operazione ostile”, si legge in una nota diffusa da Berlusconi dopo che Sua emittenza aveva rinviato gli impegni di giornata per occuparsi della questione.  “Quanto a noi, c’è la compattezza più assoluta della mia famiglia su un punto molto preciso: non abbiamo alcuna intenzione di lasciare che qualcuno provi a ridimensionare il nostro ruolo di imprenditori. Per questo abbiamo aumentato la nostra partecipazione e continueremo a farlo nei limiti consentiti dalle leggi”.

Si rafforza anche la presa di posizione del governo Gentiloni, che l’attacco di Vivendi aveva colto di sorpresa in pieno giuramento. Se martedì il presidente del consiglio aveva indirettamente ammonito i francesi con un blando “l’Italia è un’economia forte, non aperta a scorribande”, mercoledì il tono si è alzato. “Premesso l’assoluto rispetto del Governo italiano per le regole di mercato non sembra davvero che quello che potrebbe apparire come un tentativo, del tutto inaspettato, di scalata ostile a uno dei più grandi gruppi media italiani, sia il modo più appropriato di procedere per rafforzare la propria presenza in Italia”, ha fatto sapere mercoledì sera il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda in una nota divulgata a ruota di quella di Berlusconi. Benvenuti in Italia gli investimenti stranieri ma Mediaset opera in “un campo strategico” quindi “il modo in cui si procede non è irrilevante. Mi pare che questo principio sia in Francia ampiamente riconosciuto e assertivamente difeso”. Il governo, rileva ancora il comunicato, “monitorerà con attenzione l’evolversi della situazione”.

Chiaro il riferimento ai poteri dell’esecutivo in campi sensibili come quello delle telecomunicazioni, tanto più che ciò che accadrà a Mediaset non lascerà indifferente la tv di Stato, la Rai. Meno chiaro quale fattivamente potrà essere il raggio d’azione del governo. Certamente più potente, almeno in teoria, quello della magistratura milanese che è stata chiamata in campo dalla stessa Fininvest nei giorni scorsi con un esposto firmato da Niccolò Ghedini, che ipotizza la manipolazione del mercato da parte dei francesi, colpevoli di aver depresso il titolo Mediaset con l’affaire Premium salvo poi approfittarne per comprare i titoli del gruppo televisivo a piene mani. Un aggiottaggio da manuale, insomma, se provato. Certo è che ormai Bolloré è un socio dal peso innegabilmente ingombrante in Mediaset, mentre Fininvest non potrà spingersi oltre il 40% fino ad aprile, pena l’obbligo di lanciare un’Opa. Lo sa bene il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che dopo aver ammesso la difficoltà della situazione (“Sarà dura, ma ci difenderemo”, avrebbe detto incontrando alcune redazioni romane del gruppo per gli auguri di Natale) ha sottolineato che “Mediaset è abituata alla concorrenza esterna, ma è la prima volta che si deve guardare dalla concorrenza interna”. Non solo. Il navigato manager di fiducia di Arcore ha parlato della necessità di guardarsi le spalle da “quello che succede nei corridoi” per poi concludere scherzando: “Chissà se il prossimo anno brinderemo con lo champagne al posto del prosecco”.

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