Quarantadue minuti di colloquio. L’auto ha varcato i cancelli del Quirinale alle 19.01 e quando ha lasciato il palazzo alle 19.43 la crisi di governo era ufficialmente aperta. Matteo Renzi è salito al Colle per formalizzare le dimissioni da presidente del Consiglio, a distanza di due giorni dai due colloqui avuti dopo la sconfitta nel referendum costituzionale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che gli aveva chiesto di congelare il passo indietro annunciato domenica notte in attesa dell’approvazione della legge di Bilancio. “Il presidente della Repubblica – ha spiegato in una breve conferenza stampa Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza della Repubblica – si è riservato di decidere e ha pregato il presidente del Consiglio di rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti“.

Mattarella affronta la prima crisi del proprio settennato. Il capo dello Stato ritiene “inconcepibili le elezioni anticipate” senza leggi elettorali omogenee per Camera (per la quale il governo ha messo a punto l’Italicum, sulla cui aderenza ai principi costituzionali la Corte Costituzionale si pronuncerà il 24 gennaio) e Senato (per il quale resta il Consultellum, ovvero ciò che rimane del Porcellum dopo la sentenza della Consulta). Vuole, Mattarella, un governo di scopo, o di responsabilità nazionale con la maggioranza più ampia possibile, in grado di dare al Paese una nuova legge elettorale. Solo allora, nel disegno dell’inquilino del Colle si aprirebbe la strada verso le urne.

Il primo scoglio da superare era quello della legge di Bilancio, approvata in via definitiva dal Senato poco prima delle 15 con 166 voti a favore, 70 no e un astenuto. Ora, con le dimissioni del premier ufficializzate al capo dello Stato, prenderanno il via le consultazioni, ha spiegato ancora Zampetti. Giovedì i primi a salire al Colle per discutere con Mattarella della possibilità in campo per formare il nuovo esecutivo saranno il presidente del Senato Pietro Grasso (ore 18), la presidente della Camera Laura Boldrini (ore 18.30) e il presidente emerito Giorgio Napolitano (ore 19.00). Venerdì dalle 10.00 tocca ai gruppi parlamentari più piccoli, mentre sabato sarà la volta delle delegazioni dei partiti maggiori: si comincia alle 10.00 con la Lega Nord e si finisce alle 17 con il Pd. La delegazione guidata da Lorenzo Guerini, uno dei due vicesegretari, e composta anche dal presidente Matteo Orfini e dai capigruppo Ettore Rosato e Marcello Zanda, seguirà quella del M5S, di cui faranno parte i capigruppo di Camera e Senato ma non il ledaer Beppe Grillo.

“Governo di tutti o elezioni dopo il 24 gennaio”, è il bivio indicato da Renzi nel discorso tenuto dinanzi alla direzione del Partito Democratico, nella quale il premier ha ritrovato il sorriso e la voglia di scherzare dopo la sconfitta del referendum costituzionale e le ore difficili successive all’annuncio delle dimissioni. “Noi non abbiamo paura di niente e nessuno, se gli altri vogliono andare a votare, dopo la sentenza della Consulta, lo dicano perché qui si tratta tutti di assumersi la responsabilità. Il Pd non ha paura della democrazia e dei voti”, ha scandito Renzi, illustrando la scelta cui il partito si trova di fronte: o governo di tutti o elezioni anticipate. Tutto nel minor tempo possibile.

“O si va a votare dopo la sentenza della Consulta o se invece vogliono un nuovo governo che affronti la legge elettorale ma anche gli appuntamenti internazionali il Pd è consapevole ma non può essere il solo perché abbiamo già pagato il prezzo in un tempo non troppo lontano” ha annunciato Renzi, secondo cui “anche altri devono caricarsi il peso almeno in parte perché è difficile sostenere che noi in nome della responsabilità veniamo tratteggiati come, cito, ‘il quarto governo non votato dal popolo’, ‘il quarto dopo il colpo di stato del 2015’, ‘il governo figlio di un parlamento illegittimo o ‘il terzo governo di trasformismo di Alfano e Verdini”. Tra gli “altri” Forza Italia non ci sarà: “Posso affermarlo con certezza: al 100% Forza Italia non darà nessuna fiducia ad alcun governo in questa legislatura. Noi siamo e restiamo all’opposizione”, ha detto il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta a SkyTg24.

La prospettivo del governo di unità provoca la reazione anche della minoranza dem. “Trovo che la proposta di un governo appoggiato da tutte le forze politiche sia provocatoria: – ha sottolineato Davide Zoggia al termine della direzione – oggi l’urgenza è avere comunque un governo in grado di fare la legge elettorale”. “Non è detto – ha affermato poi il deputato – che tutte le forze politiche che appoggiano una riforma elettorale debbano per forza stare al governo”.

La campagna elettorale, intanto,è già cominciata. “Tra una settimana, se non ci saranno risposte chiare sul voto, noi scendiamo in piazza – scalda i motori Matteo Salvini – il 17 e il 18 dicembre siamo pronti per una raccolta firme per elezioni subito. Questa la nostra risposta a Renzi e Mattarella se pensano di farci perdere ancora del tempo”. “Noi non intendiamo far passare inutilmente – prosegue il segretario della Lega Nord – ore e settimane: anche questa giornata è stata sacrificata sull’altare dei litigi del Pd. Basta. Vogliamo che gli italiani votino il prima possibile. Renzi continua a prenderci in giro: noi non siamo disponibili ad alcun governo di larghe intese e non intendiamo sprecare ancora giorni in sterili dibattiti su questioni assolutamente irrilevanti”.

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