La campagna sul Fertility day promossa dal ministero della Salute, si è rivelata sterile e infeconda, precocemente abortita (il sito che la promuoveva è bloccato) sotto gli attacchi che si sono sollevati in rete per la rabbia. Tanta. Quella  delle donne che non vogliono figli per (legittima e più che rispettabile) scelta, perché non li desiderano affatto o perché hanno capito che la piena realizzazione di sé non comprende necessariamente riprodursi; quella delle donne che i figli li desiderano come un sogno accarezzato, ma irrealizzabile perché sono precarie, perché guadagnano poco, perché sanno che se faranno dei figli perderanno il lavoro. Sanno anche che se riescono a mantenere il lavoro, nonostante gravidanza e figli,  saranno costrette a fare salti mortali per conciliare impiego e cura dei figli in assenza di un welfare e di servizi inadeguatamente sostituiti dal faidate tutto italiano: l’aiuto delle nonne.

IMG_3380Come spiegare a una ministra comodamente polleggiata su prebende e privilegi degni di una casta che la propaganda del governo sul Fertility day nel contesto sociale ed economico  italiano, rivela una totale mancanza di senso della realtà? Dopo le polemiche la ministra Beatrice Lorenzin ha detto che in questo Paese parlare di fertilità è un tabù dimostrando, ancora una volta, una distanza siderale dai problemi che attanagliano quotidianamente le donne e gli uomini, soprattutto delle giovani generazioni a cui il suo ministero si rivolge goffamente. E sempre in tema di distacco dalla la realtà, la ministra non ha dimostrato nemmeno consapevolezza, né rispetto per i cambiamenti culturali che sono avvenuti in questo Paese negli ultimi cinquant’anni e delle rivoluzioni che hanno trasformato l’obbligo procreativo delle donne in scelta, possibilmente consapevole e dettata da autodeterminazione, sottraendolo al volere della famiglia, del patriarca o dello Stato.

La propaganda governativa che definisce la fertilità “un bene comune”  irrita perché ricorda inevitabilmente l’imperativo di dare i figli alla patria di mussoliniana memoria. E’ prescrittiva e moraleggiante e mal realizzata con cartoline che sfiorano il ridicolo, già dileggiate e storpiate sul web che non perdona mammine che si accarezzano il pancino trionfanti, clessidre che scorrono, rubinetti che sgocciolano, bucce di banana contro la sterilità maschile, posizioni del missionario con smile tra i piedi dei copulandi e scarpine circondate da un filo tricolore.

Nel Piano nazionale sulla fertilità ci sono poi passaggi fortemente criticabili: quello che definisce “pericolosa” (per chi, per che cosa?) la tendenza a rinviare la maternità in nome della affermazione personale (pag 20 “si assiste, infatti, a una pericolosa  tendenza a rinviare questo momento, in attesa proprio di una realizzazione/affermazione personale che si pensa possa essere ostacolata dal lavoro di cura dei figli”)  o quello che rappresenta le donne come passive e inconsapevoli, indotte o condotte a scelte, evocando l’immagine di un gregge o della mandria  (a pagina 34 “cosa fare, dunque, di fronte a una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte del mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno  comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?”) per non dire sul riferimento ai ruoli maschili in odore di stereotipi di genere o sessisti.

Alla fine sarà tanto rumore per nulla perché non ci sarà nessun aumento della fertilità in assenza di politiche efficaci e adeguate, un miraggio in un Paese governato a colpi di spot e slogan.

@nadiesdaa

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