Il Ministero dell’Interno continua a non rispondere a quanti, non solo attivisti e associazioni umanitarie, ma anche giornalisti, giuristi e parlamentari della stessa maggioranza, chiedono conto dell’espulsione diretta di mercoledì scorso, quando quaranta persone sono state rimpatriate dal confine di Ventimiglia a Khartum (Sudan). L’unica fonte ufficiale disposta a confermare l’operazione è la Questura di Imperia, attraverso il suo portavoce Raimondo Martorano: “Il servizio è stato disposto dal Ministero dell’Interno, alla presenza di funzionari del consolato del Sudan. Gli espulsi non avevano titolo per soggiornare in Italia e non hanno formalizzato alcuna istanza di protezione, quindi, in base all’accordo bilaterale, gli è stata notificata l’espulsione esecutiva”.

L’accordo cui si riferisce è il “Memorandum of Understanding” (memorandum d’intesa, ndr) tra Italia e Sudan firmato il 3 agosto dal capo della polizia italiana, Franco Gabrielli, senza ratifica del Parlamento e attualmente irreperibile sul sito del Ministero. Per avere delucidazioni sul merito dell’accordo, che legittimerebbe il rimpatrio collettivo in Sudan, bisognerà attendere che il Ministro dell’Interno Angelino Alfano risponda all’interrogazione parlamentare annunciata dal senatore Luigi Manconi (Pd). Fino a quel momento, riportiamo le dichiarazioni rilasciate dal governo sudanese guidato dalla dittatura militare del presidente Omar al-Bashir, ricercato dal 2008 dalla Corte penale internazionale per genocidio e crimini di guerra: “Le autorità italiane ci hanno contattato per aiutarli a identificare i nostri connazionali intrappolati al confine franco-italiano. Li abbiamo trovati in pessime condizioni e li abbiamo riportati in Sudan”.

Questura d’Imperia: “Non avevano chiesto protezione”. Governo sudanese: “Erano in pessime condizioni”

Per Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia e blogger di ilfattoquotidiano.it, non solo il nostro Governo avrebbe violato “l’obbligo di non-refoulement, previsto dal diritto internazionale, che vieta di trasferire persone verso Paesi dove rischiano gravi violazioni dei loro diritti umani fondamentali” ma lo avrebbe fatto “in aperta violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che vieta rimpatri collettivi, e la convenzione di Ginevra, che vieta la collaborazione con funzionari del paese di provenienza”.

Aggiunge un elemento l’onlus Italians for Darfur: “Sappiamo che in quel volo c’erano almeno tre persone provenienti dalla zona del Sudan dove in questi anni la guerra ha provocato oltre 300mila morti.” A informare l’associazione è stato un uomo che si sarebbe trovato con loro al momento del fermo: “Siamo in contatto con lui perché ci ha aiutato a salvare Meriam Ibrahim, cristiana ortodossa condannata all’impiccagione nel 2014. In seguito è dovuto scappare perché lo volevano morto. Non poteva chiedere il visto e come tutti ha dovuto affidarsi ai trafficanti. Martedì scorso ci ha contattato da Ventimiglia, ci ha riferito dei rimpatri e dato i nominativi di tre giovani del Darfur che erano con lui e sono stati espulsi”.

“Almeno tre di loro provenivano dal Darfur, dove la guerra ha provocato 300mila morti”

Alcuni ragazzi del Gambia ancora presenti a Ventimiglia sono riusciti a metterci in contatto telefonicamente con uno dei ragazzi rimpatriati, che racconta: “Mi trovavo vicino alla chiesa dove sono accolte alcune famiglie, avevo con me il badge del campo della Croce Rossa. Mi ha avvicinato la polizia dicendomi che mi avrebbero portato in Commissariato per una foto e poi rilasciato, gli ho creduto. Mi sono ritrovato con una quarantina di connazionali, ci hanno sequestrato i telefoni e le borse e ci hanno obbligato a dare le impronte per l’ennesima volta, percuotendo e spogliando chi si opponeva. In seguito ci hanno portato alla Questura di Imperia, dove tre funzionari sudanesi ci hanno spiegato che ci avrebbero riportato a Khartoum il giorno dopo. In serata la polizia ci ha diviso in tre gruppi, ho dormito in cella e alle 5 del mattino ci hanno portato all’aeroporto di Torino, ognuno scortato da due agenti. Durante il volo ci hanno tenuto legati”. L’uso delle fascette ai polsi è una prassi di sicurezza in operazioni di questo tipo.

Rispondendo a ilfattoquotidiano.it, Eltayeb Algadir, console del Sudan in Italia, aggiunge che è “la prima volta che siamo coinvolti in un rimpatrio collettivo. Siamo andati in tre a Ventimiglia per identificare i nostri connazionali”. Chi ha pagato il volo? “Non so se l’Italia o l’Europa, certamente non il Sudan.” Le persone rimpatriate dovranno ritornare nelle zone in conflitto da dove provengono? “A Khartoum sono stati rilasciati in libertà, potranno andare dove vogliono.” Oltre alla guerra in Darfur, in Sudan ci sono conflitti locali, persecuzioni politiche, etniche e religiose, come si può garantire la loro sicurezza? “Da fuori ci si può fare idee sbagliate, ma il Sudan è un paese libero, spero abbiate modo di visitarlo, così potreste vederlo coi vostri occhi”.

Il racconto: “Mi ha avvicinato la polizia dicendomi che mi avrebbero portato in Commissariato per una foto e poi rilasciato, gli ho creduto

Secondo quanto riportato sul blog Diritti e Frontiere da Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato esperto di diritto di asilo e docente presso l’Università di Palermo, questa operazione non sarebbe la prima, come ribadisce a ilfattoquotidiano.it: “Respingimenti coatti e collettivi sono già avvenuti verso la Nigeria, l’Egitto e la Tunisia. Rispetto al Sudan, ho potuto vedere diversi decreti di espulsione convalidati dal giudice di pace di Taranto nella giornata del 22 agosto. Siamo sicuri sia solo uno l’aereo partito per il Sudan la scorsa settimana? Il Ministero dell’Interno – prosegue l’avvocato – sa di non avere le carte in regola e gioca sul tempo. Si tratta di un ritorno alle peggiori prassi espulsive sperimentate dal ministro Maroni nel 2008, per le quali l’Italia venne condannata dalla Corte Europea dei diritti umani a Strasburgo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani”.

Come riporta Nigrizia, nel 2015 sono giunti in Italia quasi 9mila sudanesi, mentre al 21 agosto di quest’anno sono oltre il 7% dei 103mila sbarcati nel 2016 sulle coste italiane: “Non arriverebbero così numerosi se non ci fosse un’emergenza umanitaria”.
Eppure, se per anni il Sudan è stato isolato e condannato dalla comunità internazionale per le continue violazioni dei diritti di cui si rendeva protagonista, dal 2015 si registra uno spostamento della politica dell’Unione europea nei confronti del Paese di Omar al-Bashir, che si rivela un partner strategico e affidabile con cui prendere accordi per “risolvere alla radice il problema delle migrazioni”, ora che Frontex non può più contare sulle prigioni libiche di Mu’amar Gheddafi.

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