Può bastare anche solo un chiaro “no” pronunciato ad alta voce, o qualsiasi altra forma di disobbedienza passiva, per dimostrare che la presenza su quell’aereo non dipende dalla propria volontà. Recitano così le istruzioni, diffuse dal sito w2eu.info, destinate ai migranti per cui è stato disposto il rimpatrio forzato nel proprio paese d’origine. Queste “dritte” stanno provocando in Germania numerosi casi di resistenza: tra gennaio 2015 e giugno 2016, 330 rientri obbligati via aereo falliti, su un totale di 600, sono dovuti a un’opposizione del passeggero espressa al momento del decollo. Lo riporta il manifesto riprendendo i dati del Ministero degli Interni tedesco apparsi sul sito dell’emittente pubblica Deutsche Welle.

La “politica delle porte aperte”, attuata dalla cancelliera Merkel per affrontare il problema dell’immigrazione di massa, concede questa scappatoia per rinviare il momento del rimpatrio al migrante costretto a tornare a casa. Alle volte, di fronte all’obiezione fisica del passeggero espulso, se ne verifica una di coscienza da parte del comandante dell’aereo. In 108 casi il pilota ha infatti comunicato alle forze di polizia il rifiuto di decollare perché “non avrebbe preso a bordo nessuno se non dopo la conferma della volontà dei passeggeri di far ritorno nel “Paese sicuro” di destinazione”. Si è tratto di 46 piloti della compagnia di bandiera Lufthansa, 23 di Air Berlin e di 20 della Germanwings.

L’ultimo episodio, riporta dw.com, riguarda un volo di ritorno sulla pista dell’aeroporto di Lipsia-Halle: “Il passeggero viene scortato da due agenti di polizia a bordo dell’aereo. Qualche minuto prima del decollo insieme ad altri rifugiati si rifiuta di partire, quindi inizia a urlare che non vuole allacciare le cinture di sicurezza. Infine spiega ai piloti che non sta viaggiando sotto la propria volontà”. I casi hanno riguardato in maggioranza migranti di nazionalità irachena, siriana, afghana o somala ma si contano anche le presenze di espulsi provenienti da Eritrea, Gambia e Camerun. La polizia tedesca non forza mai la situazione perché ha l’ordine “rendere il processo trasparente e in linea con i Diritti umani”, ma anche a causa di un precedente del 1999 che “pesa”: un migrante morì infatti durante il processo di rientro forzato.

Al netto dei casi di resistenza (una minima parte del totale), il ministro dell’Interno Thomas De Maizière (Cdu) sta incontrando molte difficoltà a far rispettare i piani sulla sicurezza annunciati della cancelliera Merkel in campagna elettorale. Programmi ribaditi poi nella “Dichiarazione di Berlino” sulla sicurezza, presentata giovedì scorso da tutti i ministri cristiano-democratici, in risposta alla richiesta di “un’accelerazione delle espulsioni” chiesta dall’opposizione di Alternative für Deutschland. Da gennaio 2015 i casi certificati di rimpatrio sono stati 35mila, compresi quelli non andati a buon fine, su un totale di 100mila previsti dal governo entro la fine del 2016. I motivi per cui un rimpatrio può fallire sono diversi, ad esempio 37 casi sono stati abbandonati dalla polizia perché “il Paese di origine ha rifiutato l’ingresso al connazionale”.

Le espulsioni, così come gli arrivi di nuovi profughi (solo ai confini della Baviera la polizia di frontiera ha bloccato 13.324 migranti contro gli 8.913 di un anno fa), sono in ogni caso in aumento. Nel primo semestre del 2016 i rimpatri sono stati 13.743, il 31% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un numero crescente di operazioni viene inoltre coordinata con Frontex, l’Unione Europea o la polizia federale tedesca: si tratta del 74% del totale rispetto al 17% dello scorso anno. Ed aumentano anche le “uscite volontarie“, cioè il rientro di persone che approfittano dei “programmi di ritorno” dello Stato centrale o delle Regioni: ne hanno usufruito 30.553 profughi.

In questo caso il rimpatriato usufruisce di un “buono“, finanziato dai fondi dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni con 10,1 milioni di euro nel 2016, che varia a seconda del paese di provenienza: 500 euro per chi torna in Afghanistan, Iraq, Etiopia, Eritrea, Nigeria, Pakistan e Ghana, 300 euro per la Siria. Un terzo di queste uscite sono state verso l’Albania (9.000), quindi Iraq (3.222) e Afghanistan (2.305). In 255 casi i respingimenti sono stati motivati da “rischi di salute pubblica”, una formula che non permette di comprendere se si tratti di soggetti sospettati di terrorismo.

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