Cupola, minareto e soldi. Tanti soldi, spesso di origine ignota. Ci sono volute molte stragi, centinaia di vittime nel cuore dell’Europa, per sfilare il tema alle zuffe politiche e alle dispute locali su singoli edifici di culto e farne materia di governo: chi finanzia le moschee e centri di cultura islamica? Manuel Valls, primo ministro di Francia, annuncia il divieto di finanziamenti esteri, Angelino Alfano gli va dietro e al Senato afferma la necessità di tracciare i flussi di denaro e vigilare sulla raccolta di mezzi finanziari a sostegno di possibili attività terroristiche, comprese quelle mimetizzate da finalità di proselitismo religioso o da scopi apparentemente caritatevoli. Adesso, però, perché quando l’incendio è divampato se ne sapeva poco. Troppo poco, quasi nulla. Non solo per l’abilità d’altri, anche per incapacità, ritardi e sottovalutazioni proprie di cui oggi abbiamo diversi segnali.

“La minaccia del terrorismo di matrice confessionale in Italia è ritenuta poco significativa”. Queste parole, nero su bianco, sono stampate al centro del primo e unico rapporto sul terrorismo dellaCommissione per la sicurezza finanziaria (Csf), il massimo organismo che in seno allo Stato fa da cabina di regia a tutte le forze impegnate – a vario titolo – nel contrasto al riciclaggio e al finanziamento illecito, terrorismo a fondo religioso compreso. Incardinato presso la direzione del Tesoro, il Csf fa sedere al tavolo rappresentanti di Consob, Banca d’Italia, Isvap, vari ministeri, Procura nazionale antimafia, antiterrorismo, Dia, carabinieri e pure l’Agenzia delle Dogane. E’ stato istituito nel 2001 dopo l’attacco alle Torri Gemelle allo scopo di monitorare il funzionamento del sistema di prevenzione e di sanzioni del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio.

Rapporto CSF rischio terrorismo

Al Mef assicurano che la commissione “si riunisce regolarmente anche una volta ogni due mesi e che quel documento è ormai datato”. Fatto sta che in 15 anni la Csf ha prodotto un solo rapporto sul tema, quello, sotto il titolo “Analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo”. Che a pagina 18riporta quella la frase così rivelatrice del fatto che le autorità italiane, anche ai massimi livelli, non avessero pienamente il “polso” della situazione: “Minaccia poco significativa”. Tempo un mese scarso, il 7 gennaio 2015, i kalashnikov dei fratelli Kouachi avrebbero gettato la Francia e l’Europa nel terrore, inaugurando una lunga scia di sangue che insieme ai foreign fighters, alla caccia ai cani sciolti, alla guerra allo Stato Islamico riporta in primo piano il grande tema del finanziamento ai centri di preghiera e di aggregazione delle comunità islamiche, che non sono certo il serbatoio d’elezione dei terroristi come la Rete, ma sono luoghi che a volte accolgono (o addirittura proteggono) correnti di pensiero giustificano l’aggressione jiahdista. E quello che ieri sembrava un pericolo remoto oggi fa alzare l’allerta. Ma dopo tanto sangue versato.

Dal 1° agosto, praticamente ieri, la Guardia di Finanza ha reso operativa una nuova divisione del secondo reparto che si chiamerà “Gruppo di investigazione finanziamento al terrorismo”. E’ stato il vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito, a darne notizia spiegando che in realtà a preoccupare non sono tanto i grandi flussi di finanziatori discutibili ma riconoscibili quanto i “piccoli finanziatori” dietro cui possono occultarsi cellule terroristiche e soprattutto il  denaro in uscita dal nostro Paese: “Ogni settimana ci sono decine di milioni di operazioni in uscita”. Quello che è importante intercettare, allora, è un altro flusso, meno visibile e più pericoloso. Lo dimostrano i numeri sui finanziamenti che affluiscono nelle casse dello Stato Islamico, di Al Qaeda e delle altre formazioni terroristiche. E che alimentano la propaganda, l’addestramento e le azioni dei “combattenti”.

La GdF  snocciola, con le prudenze del caso alcuni numeri significativi. E’ stato il generale Giorgio Toschi, a capo delle Fiamme Gialle, durante l’ultima audizione alla Camera ha illustrare audizione i risultati di un più massiccio impegno nel monitoraggio e nel controllo sui flussi di denaro potenzialmente a rischio: nel primo semestre di quest’anno sono state infatti 597 le segnalazioni di operazioni sospette analizzate dalla Gdf; è stato così già superato il totale registrato nell’intero 2015 (579). Dati analoghi li registra l’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia (Uif): 413 operazioni sospette nel primo semestre del 2016 contro le 348 di tutto il 2015.

Non è detto – precisa il generale – che l’aumento delle segnalazioni corrisponda ad un incremento dei movimenti di denaro a favore delle formazioni jihadiste, ma i dati riflettono un’accresciuta attenzione al fenomeno da parte di Fiamme Gialle e istituti bancari.   “L’Is accumula ricchezze attraverso macro-operazioni come il traffico internazionale di petrolio, droga, armi, opere d’arte, ma ci sono anche tantissimi movimenti finanziari ‘micro’ che contribuiscono a rimpolpare le casse del Califfato come di altri gruppi terroristici. La Guardia di finanzia si concentra così su quello che passa attraverso i money transfer, i phone center, gliinternet point”. E non solo. “A volte – ha spiegato Toschi ai membri del Copasir – dietro donazioni a presunte ong, carità, ecc., si celano finanziamenti di fazioni jihadiste. Sulle operazioni sospette vengono svolti degli approfondimenti e, finora nel 2016, in 11 casi le Fiamme Gialle hanno girato le segnalazioni all’autorità giudiziaria”. E’ stata infine incrementata la diretta partecipazione dei reparti del Corpo alle iniziative di prevenzione disposte nell’ambito del Comitato di analisi strategica antiterrorismo (Casa) nei luoghi di aggregazione islamica.

Anche al Tesoro si corre ai ripari. Se 16 mesi fa la Commissione per la sicurezza finanziaria non “vedeva” il rischio oggi tutto è cambiato. Si incarica di segnalarlo al Parlamento Giuseppe Maresca, capo della direzione V del Tesoro, la massima autorità in materia di riciclaggio. Che definisce la minaccia “presente e attuale”. E lancia l’allarme su un canale del tutto fuori controllo: i money transfer. Le loro transazioni, spiega il dirigente, non sono tracciate né controllate, gli operatori hanno sedi legali fuori dall’Italia, spesso in Paesi che non hanno alcun interesse a operare o svolgere controlli. Anche qui l’Italia è corsa ai ripari, ma con calma. A giugno 2015 il Parlamento europeo ha approvato nuove e più stringenti regole per il contrasto al finanziamento illegale a fini di riciclaggio e terrorismo. Il Parlamento italiano ci ha messo un anno per votare una legge che delega il governo a recepirla e attuarla. E la minaccia “poco significativa” era sotto gli occhi di tutti.

La sottovalutazione, se di questo si tratta, è più sorprendente se si pensa che proprio l’Italia, insieme a Stati Uniti e Arabia Saudita, presiede il Counter-ISIL, l’organismo che dal 20 marzo 2015 per conto della Coalizione internazionale anti-Daesh (37 Paesi) deve elaborare misure per intercettare e tagliare le fonti di finanziamento dello Stato Islamico. Quasi nessuno lo sa. “Perché la sua attività non riguarda l’Italia – precisano dal Tesoro – ma il controllo dei flussi internazionali su vasta scala, compreso il petrolio, il commercio d’arte trafugata, i proventi dei sequestri, le carte prepagate, i money transfer e il contante. Il fatto stesso che ne siamo a capo dimostra che ci vengono riconosciute capacità e strumenti adeguati a elaborare strategie di alto profilo”. Che in casa propria, però, latitano.

 

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