Mi batto da anni per porre all’attenzione dell’opinione pubblica come dietro all’attuale scontro fra Stati e mercati (ben rappresentati dalla Troika) si cela un pesante attacco del capitale al lavoro, che deve necessariamente passare per un indebolimento delle democrazie nazionali. Non è un caso, infatti, che le principali riforme richieste dai mercati, mediati dalla Troika, abbiano riguardato i diritti dei lavoratori, gravemente compromessi nei paesi dell’eurozona in cambio di ‘aiuti’ finanziari.

Per quanto riguarda l’Italia, non c’è nemmeno stato bisogno del commissariamento formale, è bastata la ormai famosa lettera del 5 agosto 2011 che il presidente della Bce, all’epoca dei fatti Jean-Claude Trichet, inviò al governo Berlusconi per dare il colpo di grazia al potere contrattuale dei lavoratori. Il documento conteneva la richiesta di interventi urgenti in materia di revisione delle regole sui licenziamenti, di razionalizzazione del sistema pensionistico, taglio dei salari e altro ancora. Noi li abbiamo accontentati.

Sino ad ora, i mercati hanno avuto vita facile nel dettare l’agenda politica nei paesi ‘deboli’. Ma la Francia è un’altra cosa, la storia insegna. L’imperativo europeo ‘facilitare i licenziamenti e abbassare i salari’ sta trovando una seria opposizione nei francesi, che hanno ben capito qual è la posta in gioco del ‘Ce lo chiede l’Europa‘.

Una delle modifiche più contestate della riforma del codice del lavoro francese (Loi Travail, anche detta Jobs Act francese) riguarda i licenziamenti economici (art. 30 bis). La futura legge prevede un ampliamento dei margini di discrezionalità dei motivi di natura economica che possono facilitare il licenziamento dei dipendenti. Si tratta di criteri (calo del giro d’affari per diversi trimestri, un generico riferimento alla salvaguardia della competitività…) che più che essere discrezionali appaiono arbitrari e rendono estremamente difficile per il lavoratore dimostrare l’illegittimità dell’atto espulsivo. Anche la libertà del giudice del lavoro di poter valutare caso per caso la sussistenza di reali difficoltà economiche tende ad essere ridimensionata. Tra l’altro, le situazioni di difficoltà economiche tipizzate dal legislatore possono anche essere solamente momentanee e riguardare aziende che godono di ottima salute.

Fortemente criticata anche la disposizione che favorisce vistosamente le imprese multinazionali. In base alla normativa vigente le difficoltà economiche poste alla base del licenziamento vengono valutate a livello di gruppo societario nel suo complesso, e non tenendo soltanto conto della singola società controllata che dichiara i licenziamenti. La riforma prevede invece che l’analisi dei motivi economici debba essere fatta a livello di società del gruppo ma circoscritte nel territorio francese, con la conseguenza che i licenziamenti possono essere considerati legittimi anche quando il resto del gruppo è fiorente all’estero. In tal modo, si limitano fortemente le responsabilità delle imprese multinazionali, le quali avrebbero inoltre l’incentivo ad essere più redditizie all’estero, in un gioco di ‘scatole cinesi’ per cui è praticamente impossibile attuare un efficace controllo giurisdizionale.

Le proteste infiammano Parigi da molte settimane, e la tensione è altissima anche in ragione del fatto che il governo di Manuel Valls ha applicato l’articolo  49.3 del titolo V della Costituzione francese, per l’adozione della legge El Khomri (il nome del ministro del lavoro attualmente in carica) senza il voto in aula (mancano circa quaranta voti al governo). L’Assemblea ha respinto la ‘censura’ presentata dalla destra, e il provvedimento passerà al senato per poi ritornare in Assemblea. La ‘sinistra’ (consentitemi il virgolettato) francese è a pezzi e rischia di collassare su se stessa per i forti contrasti interni.

Le manifestazioni continueranno oggi e il 19 maggio. Non sappiamo come finirà questa storia, ma sappiamo cosa è appena iniziato: un fronte alternativo alle politiche neoliberiste che farà la differenza.

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