Un bambino di 4 anni è stato condannato all’ergastolo dalla corte militare egiziana. Lasciando per un momento sullo sfondo, per quanto possibile, il comportamento indecente, offensivo, spietato e criminale delle autorità egiziane circa le investigazioni sul brutale omicidio di Giulio Regeni – indipendentemente da chi ne sia davvero il responsabile, o i responsabili – rimane il fatto che il limite è stato sorpassato in termini di repressione della società civile se anche un infante, ovvero il piccolo Ahmed Mansour Qurani Ali, nell’Egitto della controrivoluzione in nome della lotta all’Isis, viene accusato di omicidi e cospirazione ai danni dello Stato.

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Dal 2014, cioè dall’elezione dell’ex generale Al Sisi alla presidenza della Repubblica, in Egitto assistiamo alla nascita di uno Stato di polizia post moderno, dedito all’applicazione fino alla morte – degli oppositori- dell’agenda economica neoliberista, imposta dalle Istituzioni finanziarie internazionali e al contempo brutale fino alla follia nella propria attività censoria. È una “folpolitik” più che una realpolitik quella di Al Sisi che ieri ha giurato pubblicamente che “cancellerà dalla faccia della terra” tutti coloro che cercheranno di danneggiare lo Stato egiziano.

Ma sotto le piramidi oggi sembra di essere di fronte agli Khmer rouge polpotiani che uccidevano anche i neonati “perché l’erba cattiva va strappata alla radice”, come urlavano nei megafoni all’ingresso dei killing fields o al pingue dittatore norcoreano che fa imprigionare i dissidenti fino alla sesta generazione. Tornando al Cairo, criticare il regime attuale non significa essere dalla parte dei Fratelli musulmani (bensì a favore della Convenzione di Ginevra sui diritti umani). Come non lo era il piccolo Ahmed.

Quando si sarebbe macchiato di terrorismo era un’inconsapevole creatura di soli due anni di vita, ma l’avere tra i propri parenti alcuni membri dei fratelli musulmani lo ha reso automaticamente loro complice. Dopo la pubblicazione della notizia sui media internazionali due giorni fa, ieri il portavoce del tribunale militare, il Colonnello Samir, ha tentato di correre ai ripari, sostenendo che il bimbo è stato condannato per errore poiché confuso con il sedicenne quasi omonimo Ahmed Mansour Qurani Sharara. Tralasciando la considerazione che la condanna di un minore, anche se già adolescente, all’ergastolo fa a pugni con la pretesa dell’Egitto di essere tornato alla democrazia con le elezioni dell’ex militare golpista Al Sisi alla presidenza della Repubblica, la pezza suona peggio del buco.

Perché quanto accaduto significa che i magistrati egiziani sfornano sentenze pesantissime tanto al chilo, senza nemmeno degnarsi di aprire i fascicoli e leggere i certificati di nascita dei presunti criminali. Oppure che i giudici siano talmente asserviti al regime da firmare a occhi chiusi sentenze surreali preconfezionate dalle forze di sicurezza e dai servizi. Questa assurda vicenda fa il paio con un’altra che riguarda sempre i soggetti più deboli, cioè i bambini. Una giovane coppia del Cairo è stata sbattuta in carcere nel maggio del 2014 con l’accusa infamante di sfruttamento dei minori, traffico di esseri umani e istigazione alla omosessualità. A una lettura superficiale, che i fondatori di una Ong dedicata al recupero dei bambini di strada possano averla creata per coprire fini disgustosi e criminali sembra ipotizzabile.

Ma si dà il caso che la professoressa ventinovenne Aya Hegazy e il marito Mohamed Hassanein, che avevano chiesto come regalo di nozze ad amici e parenti una colletta per aprire la Belady Foundation, si trovino ancora in carcerazione preventiva nonostante le gravissime accuse a loro carico siano state smentite da tempo grazie alle perizie dei medici forensi sui corpi e le menti dei bambini che imparavano a leggere e scrivere grazie ai volontari della loro Ong. Cosa può accadere ancora nella terra del faraone Al Sisi?

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