La carta intestata recita “Il Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa”, la data suona solenne, “Palazzo Caprara, 2 marzo 2015”. Datare da un palazzo fa sempre più impressione di un’anonima “Roma”. Chiunque può scrivere da Roma. Scrivere da un palazzo è privilegio dei re. Per cui uno resta un tantino sorpreso a scoprire che non di una missiva regale si tratta ma di una plebea lettera aperta, non propriamente un sistema di comunicazione ortodosso all’interno di un organismo militare. Ci sono gli ordini del giorno, le circolari, oppure le riunioni riservate se c’è da veicolare qualche messaggio importante. Una lettera aperta la scrivono gli ambientalisti per salvare gli ultimi esemplari di tigre bianca, la scrivono i precari della scuola che da trent’anni aspettano un posto, la scrivono gli operai che rischiano di un fabbrica delocalizzata in Bulgaria. Insomma, è l’ultima risorsa dei disperati.

Una lettera aperta è allo stesso tempo una denuncia e un grido di dolore. Pubblico, per di più. Non certo qualcosa che scrive un militare soprattutto non un generale che di solito sta zitto. Non a caso i francesi chiamano l’Armée la grande muette, la grande muta.

Capirete così la mia sorpresa nel leggere questa inconsueta missiva firmata dal generale di squadra aerea Enzo Vecciarelli, neo nominato sottocapo di stato maggiore della Difesa. Destinatario del messaggio è il personale dello Stato maggiore stesso.

Tosi-Vecciarelli-Magrassi
Al centro il Generale Enzo Vecciarelli

Doppia sorpresa perché la lettera descrive con franchezza inusuale una situazione all’interno dei vertici militari fatta di tensioni, sospetti, frizioni, competizioni corporative e personali, piccole e grandi congiure (di palazzo Caprara). Ne esce un’immagine ben diversa, profondamente diversa, da quella rassicurante delle dichiarazioni ufficiali, dei sorrisi delle parate e della retorica del sacrificio e del servizio. Che forse è vera per quelli che stanno in basso, ma è chiaramente una finzione ipocrita per i vertici. E non lo dico io, ma il generale Vecciarelli.

Una lettera lunga: due intere pagine piuttosto fitte. Sentite cosa scrive. “Un periodo così carico di problematiche, acuite anche da frizioni interne, quale quello degli ultimi anni, non lo si era mai riscontrato prima e vederlo ancora protrarsi e aleggiare sulle nostre teste come una spada di Damocle, non mi lascia né tranquillo né indifferente”. Prosegue il generale che le sfide del momento (situazione internazionale, riforma dello strumento militare) non lo spaventano quanto “l’eventualità di lavorare in un clima non sereno, colmo di tensioni e di sospetti reciproci”. Niente male per qualcuno a cui hanno insegnato a essere una sola schiera, Una Acies come recita il motto dell’Accademia militare di Modena (va bene, lui è dell’Aeronautica, dove preferiscono gli eroi solitari, ma il concetto è quello).

Prosegue Vecciarelli con una domanda retorica “Come affrontare le più insidiose sfide interne?”, alla quale risponde senza in realtà rispondersi: “ricordo i tempi … quando si attendeva che altri sbagliassero… per meglio criticare il loro operato”, “in tempi più recenti, ancora sotto gli occhi di tutti, per poter conseguire un sia pur velleitaria supremazia di una componente sull’altra, non si sono risparmiate energie nello sviluppare delle vere e proprie contrapposizioni interne più o meno manifeste, vincenti in qualche ambito, sicuramente perdenti nell’intero complesso dell’Organizzazione Difesa” (ah, la passione dei militari per le maiuscole, ndr) . Insomma, non c’è traccia di quella camaraderie che ci si aspetterebbe da un militare, quella di cui parla Stanley Kaufmann in una vecchia recensione del film “We Were Soldiers” pubblicata da New Republic, a proposito dei soldati in partenza per il Vietnam, dove “non potranno contare che uno sull’altro e nulla più quando precipiteranno all’inferno”.

Chiede infine un impegno a superare le divisioni e a lavorare insieme ma avverte: “Aderire a questo impegno non ci renderà la vita più agevole, Coloro che contano di poter mantenere o conseguire rendite di posizione dall’attuale status quo non ci risparmieranno critiche e ostacoli”.

Ci vorrebbe qualcuno capace fare un’analisi semantica profonda (e forse anche psicoanalitica) dell’inusitata lettera aperta. L’uso delle parole la dice lunga sul pensiero profondo dell’autore: “aleggiare come una spada di Damocle”, “tensioni e sospetti reciproci”, “insidiose sfide interne”, “velleitaria supremazia”: concetti e immagini che veicolano un clima di ansia, di feroci contrapposizioni, di scontri reali che mettono in pericolo l’efficienza stessa delle Forze armate. Altro che la pretesa scarsezza di risorse.

Anzi, le guerre intestine per la visibilità (e per avere un posto in Finmeccanica o alla Lockheed al momento giusto) hanno fatto sì che ogni forza armata si sia comprata così tante armi che non può usare perché mancano i soldi per il carburante, i pezzi di ricambio, la manutenzione. Come quelli che si comprano la Porsche ma non possono pagare l’assicurazione perché in realtà sono dei pezzenti. L’Aeronautica si compera gli F-35 ma poi deve mettere fuori servizio gli aerei da addestramento SF-260 perché i motori sono stati danneggiati dall’olio scaduto. L’Esercito che sopravvive solo perché ci sono i fondi per le missioni all’estero ma ha presentato un piano di riarmo da decine di miliardi. La Marina che insegue i sogni imperiali del suo capo ma non ha i soldi per sostituire nave Anteo, una nave soccorso sommergibili che ha più di quaranta anni e uno deve sperare che per gli incidenti ci pensi lo stellone italico.

Ora, che la situazione delle Forze armate italiane fosse disastrata lo sapevamo in tanti. Il carrierismo è sfrenato, la logica della parrocchietta prevale sull’interesse generale. L’ognuno per sé la vince sempre sull’uno per tutti. Una situazione che si sapeva già deteriorata da anni si è ulteriormente compromessa sotto la gestione La Russa e l’ineffabile Pinotti, preoccupata di promuovere la propria carriera, ha scelto la linea di non vedere e non sapere lasciando che tutto andasse avanti come sempre.

Difficile credere che quella di Vecciarelli sia un’iniziativa autonoma, di cui il capo di Stato maggiore Claudio Graziano, insediatosi il 28 febbraio, appena quattro giorni prima della lettera, fosse all’oscuro. E d’altra parte, se si rileggono i discorsi di circostanza della cerimonia di insediamento, qua e là emergono segnali in codice che adesso si possono più facilmente decodificare. Il predecessore di Graziano, Binelli Mantelli, aveva parlato di “vivissimo apprezzamento per la grinta e l’incisività con cui hanno giustamente sostenuto le esigenze e la specificità della loro componente” riferendosi ai capi di Stato maggiore di Forza armata. Mentre la Pinotti aveva parlato di “banchi di sabbia e scogli sommersi” che ostacolano la navigazione della Difesa.

Nella lettera del nuovo sottocapo “grinta e incisività” sono tradotte più crudamente in “velleitarie supremazie di una componente sull’altra”, mentre gli indistinti “banchi di sabbia” sono le “frizioni interne che aleggiano sulle nostre teste”. Insomma, qui più che un tanto promesso ma ancora non visto libro bianco, taumaturgica soluzione per tutti i mali della Difesa, servirebbe forse una terapia di gruppo, una grande seduta di autocoscienza. Ma chi siamo, figli dei fiori?

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