“Una novità straordinaria” con “un bacino potenziale di 900mila giovani che nell’arco dei 24 mesi riceveranno un’opportunità di inserimento” nel mondo del lavoro. Il 5 aprile 2014 il ministro del Welfare Giuliano Poletti annunciava così il lancio di “Garanzia Giovani” (Youth Guarantee), partita in Italia il 1° maggio dello scorso anno. Un progetto di respiro europeo, rivolto a quei Paesi con una percentuale di giovani senza lavoro superiore al 25% (in Italia è al 42%), su cui Bruxelles ha investito 6 miliardi di euro: 1,5 solo per il nostro Paese. I fondi in Italia sono stati distribuiti in base al tasso di disoccupazione delle diverse aree geografiche, affidando alle Regioni, che controllano il sistema dei servizi per il lavoro, la definizione e la realizzazione delle misure da adottare. Sono stati coinvolti i giovani che non studiano né lavorano, i cosiddetti Neet, di età compresa fra 15 e 29 anni (nello schema comunitario il meccanismo è previsto per gli under 25). Per sensibilizzare gli Stati coinvolti nel piano, il 22 aprile 2013 il Consiglio della Ue ha inviato loro una “Raccomandazione” che prevede, ad esempio, l’identificazione di un’autorità pubblica incaricata di istituire e gestire il sistema di garanzia, lo sviluppo di partnership tra servizi per l’impiego pubblici e privati e il potenziamento dell’apprendistato come forma contrattuale.

Avanti piano
Peccato che in Italia il meccanismo non ha funzionato. Complici i ritardi nell’attuazione del piano da parte degli enti locali e l’assenza di un’efficace struttura di coordinamento, fino a questo momento la “Garanzia Giovani” si è rivelata un vero e proprio flop. Solo una minima parte dei giovani iscritti al piano (tramite un portale dedicato), che entro 4 mesi dall’inizio della disoccupazione o dal termine degli studi avrebbero dovuto iniziare un’esperienza lavorativa, un tirocinio o uno stage, ha tratto reale beneficio dalla Youth Guarantee. Uno scenario a tinte fosche che il Movimento 5 Stelle ha posto all’attenzione del governo con un’interrogazione firmata dalla deputata Silvia Chimienti. “La risposta che ci è stata data è molto evasiva”, spiega Chimienti a ilfattoquotidiano.it. Si è trattato, di fatto, di “una non-risposta. Sembra che vada tutto bene, invece l’esecutivo prende solo tempo in quanto deve giustificare il buon andamento del piano per ottenere altri fondi dall’Europa”.

Fallimento all’italiana
Eppure, adesso, a sancire una volta di più l’insuccesso della “Garanzia Giovani” in Italia ci ha pensato Adapt (il centro studi sul lavoro fondato nel 2000 da Marco Biagi) con un rapporto inviato al vicepresidente della Commissione europea Jyrki Katainen. Un’analisi che il commissario finlandese, considerato un “falco” e desideroso di capire cosa non ha funzionato finora in casa nostra, ha richiesto al direttore di Adapt Michele Tiraboschi. Non al governo. “I risultati – esordisce il report – non sono allo stato lusinghieri e anzi è percezione diffusa, tra i giovani prima ancora che tra gli esperti e l’opinione pubblica, che si tratti dell’ennesimo fallimento delle politiche del lavoro in Italia”. Una doccia gelata accompagnata dalle cifre. Come ad esempio la percentuale dei giovani che, una volta presi in carico dai servizi competenti, ha ricevuto una qualche forma di risposta in termini di lavoro o di stage: un misero 3%. “Su un bacino stimato dal governo di 2.254.000 giovani italiani che non studiano e che non lavorano, 1.565.000 se consideriamo il target scelto per il piano, solo 412.015 hanno infatti aderito al piano ‘Garanzia Giovani'”, è scritto nel documento. Di questi “solo 160.178 risultano essere stati effettivamente contattati per un primo colloquio. Mancano dunque all’appello ancora 251.837 giovani, la stragrande maggioranza dei quali iscritti da oltre 4 mesi al programma”. Quindi dei 160.178 giovani contattati dopo la registrazione al progetto “solo 12.273 hanno poi effettivamente ricevuto un’offerta di lavoro, di stage o di formazione”. Il 3%, appunto.

Guida pericolosa
Insomma un disastro su tutta la linea, che affonda le proprie radici nel fatto che l’Italia non ha rispettato le linee guida della “Raccomandazione” dell’Unione europea. A partire dalla mancata creazione dell’autorità pubblica di coordinamento. “In attesa di una annunciata riforma dei servizi pubblici per il lavoro”, spiega Adapt, l’Italia “ha affidato il compito di coordinamento delle azioni di “Garanzia Giovani” ad una tecnostruttura pubblicistica denominata “struttura di missione” che “ha cessato le sue funzioni il 31 dicembre 2014 senza che l’annunciata riforma dei servizi per il lavoro abbia preso effettivamente avvio e senza che siano stati nominati ad interim altri soggetti”. Di conseguenza, rivela l’associazione, allo stato attuale nel nostro Paese “il ruolo di coordinamento del programma è scoperto”. Non è finita. L’altro problema, come detto, è rappresentato dalle Regioni. In molte di queste, soprattutto “in quelle con i più alti tassi di disoccupazione e dispersione giovanile”, la “Garanzia Giovani” “non è ancora neppure partita rivelandosi al più occasione per convegni e per l’apertura di nuovi siti internet pubblici che non funzionano e non mettono in contatto domanda e offerta di lavoro”.

Regioni al bando
In Sicilia, addirittura, il bando è stato aperto e poi subito ritirato sollevando dubbi sulla trasparenza delle procedure adottate nell’erogazione dei finanziamenti. E anche nei casi “virtuosi” non mancano le criticità. “In Veneto, la Regione che si distingue per la migliore performance sulla “Garanzia Giovani”, si registrano importanti ritardi. Penso solo ai tirocini: i ragazzi che hanno iniziato a settembre attendono ancora la liquidazione della prima indennità mensile”, spiega a ilfattoquotidiano.it Giulia Rosolen, ricercatrice Adapt e responsabile del gruppo di ricerca sul piano. Per Rosolen, in sostanza, “stiamo sprecando il miliardo e mezzo stanziato dall’Europa”. Anche perché “sull’apprendistato, individuato come principale leva di placement dalla Raccomandazione europea, viene investita solo una percentuale residuale delle risorse a disposizione e le procedure previste per il finanziamento di questa tipologia contrattuale sono spesso molto lunghe e burocratiche“. Numeri alla mano, il contratto a tempo determinato è la tipologia maggiormente ricorrente tra le offerte caricate nel portale (74%)  – la stragrande maggioranza delle quali non incide sui settori indicati come prioritari dall’Europa – mentre tirocinio e apprendistato occupano le ultime due posizioni (8% e 2%).

Garanzia fuori posto
Inoltre il 40% dei giovani intervistati per un sondaggio riguardante il piano, effettuato da Adapt e dalla testata online la “Repubblica degli stagisti”, ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna proposta dopo il colloquio. Non è un caso, dunque, se il voto medio dato dai ragazzi è stato 4. Una sonora insufficienza. Ora, per cercare di raddrizzare la situazione, il governo ha deciso di intervenire con due decreti. Il primo per correggere l’attuale sistema di “profilazione” dei giovani, il secondo per allargare il bonus anche ai contratti a termine (di durata inferiore a 6 mesi) e a quelli di apprendistato. “Il ministero del Lavoro ha dunque preso atto del fallimento del piano”, dice Rosolen, peccato che “i correttivi, così come previsti, non porteranno alcun beneficio”. Nei giorni scorsi, in un’intervista al Quotidiano Nazionale, Poletti ha spiegato che “il primo equivoco” della Youth Guarantee “riguarda il nome. Dall’inglese andava tradotto correttamente in patto, e non garanzia, perché così si è indotto a pensare che garantisse posti di lavoro”. Il problema, insomma, è tutto lì. In una parola. Peccato non esserci arrivati prima.

Twitter: @GiorgioVelardi

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