Opus MetachronicumIl metodo dell’arte è un’altalena. Dondola tra evento e simbolo, muffa e contenuto estetico, sensazione e zeitgeist. Il divenire del tutto e la galleria delle metamorfosi si fermano nell’istantanea dell’opera d’arte. Attraverso il metodo la trama diviene problema, il flusso delle sensazioni è portato a sintesi, lo spettacolo si fa rappresentazione. Il frammento di carne è frammento di senso poiché inscritto nei miti elaborati dall’artista, un architetto che costruisce con le macerie.

L’ordine – la cui comprensione è un compito infinito – si nasconde tra le pieghe della realtà e tra le piaghe della carne. L’allegoria è mondana, abita nella temporalità storica: è il senso – in virtù di uno sguardo allucinato, deformante e perciò epifanico – del nonsenso in cui siamo immersi. L’artista vive nel nonsenso e produce senso: è un impuro.

Sonia Caporossi, in Opus Metachronicum (Corrimano Edizioni, Palermo 2014), vuole restaurare la tavolozza di uomini come Pasolini, Van Gogh e Proust, rispettando però metodicamente il carattere impuro delle loro esistenze. Se è vero che «non esiste la storia: solo la biografia» (R. W. Emerson), è anche vero che «ogni uomo […] è una tesi hegeliana, e implica una sua antitesi» (N. Frye). Ogni biografia ha dunque la sua antitesi, e la sintesi – «tavolozza perfetta e compatta» (S. Caporossi) – è l’esemplare che l’artista ha il compito infinito di produrre.

Una estetica del brutto che adora l’informe perché è un riflesso straniante della bellezza: Opus Metachronicum è una narrazione impura della marcescenza, barocca ma non succube dell’inspiegabile e dell’empirico. «Homo sum, humani nihil a me alienum puto» (Publio Terenzio Afro).

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