Ho sempre avuto un rapporto un po’ conflittuale con la musica degli Smiths e col culto indie-pop che da sempre avvolge il suo ex frontman, il carismatico, il leggendario Morrissey. Tante volte ho provato ad ascoltarli e a farmeli piacere. Altrettante volte ho desistito subito dopo. Nulla da fare: gli Smiths, e Morrissey, che pure in astratto possedevano tutti gli ingredienti chimici per mandare in orbita uno come me, non mi prendevano. Quel rock melodico tardi anni ‘80 senza di cui null’altro sarebbe stato possibile poi, né il brit-pop, né i Radiohead, non riusciva ad arrivare a me ragazzo degli anni Novanta. Però stavolta Morrissey suonava addirittura nella mia Pescara. In una domenica sera di un caldissimo ottobre avanzato. Insomma, non potevo non esserci. E già dopo la prima canzone, uno straclassico, “The queen is dead”, mi sono ricreduto totalmente, innamorandomi di quel modo di cantare, e di quell’integrità artistica e intellettuale, e soprattutto, proprio di quella musica.  

Il concerto comincia dopo un bel po’. Passa un’ora rispetto all’orario fissato. L’attesa è riempita da una surreale sarabanda in video gigante infarcita di Ramones, Charles Aznavour, un giovanissimo Brian Eno, corride e New York Dolls. Ma poi arriva l’epifania morrisseyana. Il Vegano da una vita, un po’ dandy , un po’ working class hero; l’inglese che non le ha mai mandate a dire, che si tratti di capitalismo, Corona o genocidio degli animali sulle nostre tavole. Un inchino, e il via. Il suono è affilato e rotondo; la sua voce ferma, armoniosa , imprendibile. Le emozioni cominciano a insinuarsi sottopelle. Accentuate e non svilite dalla fattispecie di non conoscere affatto a memoria il suo canzoniere. Morrissey, Moz per i fans, è in vena, sembra proprio in gran forma: speriamo si sia gettato definitivamente alle spalle quel tumore che ha rivelato di recente. Giochicchia col cavo del microfono, dice grazie in italiano, stringe mani. Sfilano pezzi della sua ventennale produzione solistica e brani dal suo recentissimo disco, “World peace is none of your business”.  La temperatura del nuovo palazzetto dello sport di Pescara, che supera l’esame acustico, sale. Giunge il momento di “Meat is murder”: sullo schermo alle sue spalle scorrono immagini atroci e scioccanti, di pulcini triturati vivi, di maiali sgozzati. Poco prima uomini della sicurezza si erano sincerati, con controlli a tappeto, che nessuno avesse introdotto nel palasport panini col prosciutto o con la porchetta o “abomini simili”. “Moz” è vegetariano radicale e militante e sguaina sempre e comunque la sua battaglia “politica”.

Pochi i successi del periodo Smiths proposti, ma il trionfo non cambia. Nel finale due bis, compreso “Everyday is like Sunday”, che fa venire giù l’arena. Lo straordinario cantante col volto da attore classico si sfila la camicia, saluta gentile e appassionato e se ne va, a torso nudo. Io mi rimetto la giacca di pelle, saluto qualcuno sovrappensiero  e torno a casa, col cuore vestito di un grande amore musicale in più.

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