Quando si finisce di leggere Lungo il fiume (Elliot, traduzione di Cosetta Cavallante), ci si rende conto che Edna O’Brien è una scrittrice immensa, ai livelli di Alice Munro o Philip Roth (dai quali fra l’altro è molto ammirata). Irlandese, residente a Londra, nata nel 1930, ha avuto una vita intensa e cosmopolita che racconta nella bellissima autobiografia, Country girl, uscita l’anno scorso. Grazie al lavoro della casa editrice Elliot, che piano piano sta ritraducendo l’intera opera, la O’ Brien finalmente inizia ad essere conosciuta anche in Italia.

La grandezza di Lungo il fiume si coglie fin dalla prima pagina. Straordinaria paesaggista, la O’Brien comincia descrivendo un luogo («I luoghi sono il cuore della scrittura», dice): «isole di catrame e fiordi verdi», «malepiante fiorite di tutto punto, una parata carnascialesca su cui svetta la digitale, la più alta, la più signorile». Beh, sta parlando di una discarica. E’ talmente elegante, talmente superba nel raccontare, che persino una macchina arrugginita diventa un oggetto meraviglioso («la carcassa di un’auto, un tempo color turchese, è brinata di ruggine, con la romice e le ortiche che ne drappeggiano i sedili squarciati»). Senza mai smettere di essere una macchina arrugginita, però. Perché la O’Brien non fa sconti alla verità. Anzi. Usa la bellezza della lingua – una bellezza fatta di precisione e immaginazione – per ferire ancora di più.

Il romanzo s’ispira a un fatto di cronaca degli anni Novanta. La storia di Mary, rimasta incinta a quattordici anni, dopo essere stata abusata dal padre, diventa un caso nazionale. La ragazzina viene violentata per la seconda volta, in un certo senso dall’Irlanda intera, divisa sulla questione. La parte ciecamente cattolica la riduce a una bandiera: si scatenano gli antiabortisti e i fanatici religiosi, Mary viene tenuta in ostaggio. Spaventata, incapace di indicare la colpa nel padre («Come fai a non odiarlo, Mary?» «E’ solo un padre sbagliato… Tutto qui»), porta avanti la sua gravidanza mentre le due opposte fazioni la usano per la loro battaglia, strappandosela di mano. C’è chi la porta in Inghilterra ad abortire e chi chiama la polizia per farla tornare subito indietro e trascinarla davanti a un tribunale. Ma la legge, giusta o spietata che sia, si rivela meno potente della natura: il verdetto definitivo verrà proprio dalla pancia, riportando finalmente la decisione lontano dall’ideologia, nella sfera dell’intimità, con un aborto spontaneo che scavalca qualunque giuria o partito. E Mary, finalmente, sarà libera di dire la sua.  

Anche le pagine finali sono indimenticabili. Il romanzo si chiude con il suicidio del padre (difficile leggere un’impiccagione più poetica: «Un collo trentotto, sempre il solito, dice con allegria, come se dovesse acquistare una camicia in un negozio») e con il canto di Mary, che per la prima volta fa davvero sentire la sua voce.

Edna O’Brien, Lungo il fiume, Elliot, euro 18,50, pp. 332

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