Alla fine i tanto annunciati pullman dalla Calabria non sono arrivati. “Hanno tentato di formarne uno”, spiega Pino Mandaglio, uno degli organizzatori della processione di San Bartolomeo ad Andrate, frazione di Fino Mornasco (provincia di Como), “ma non sono riusciti a raggiungere il numero”. Il tono è quello offeso di chi, a suo giudizio, si è visto affibbiare l’etichetta calabrese = ‘ndrangheta, in seguito alla diffusione della notizia che la comunità di Giffone, in provincia di Reggio Calabria, sarebbe salita per partecipare alla processione di Andrate, visto che il vescovo di Oppido Mamertina ne ha proibito la celebrazione in tutta la Diocesi. E’ la conseguenza dell’inchino avvenuto a Oppido davanti all’abitazione del boss Giuseppe Mazzagatti. “Cose che qui non succedono” è la protesta generale dei partecipanti, che comunque non mettono in discussione il legame con il comune reggitano, al punto da replicare, già nel 1975, la statua del santo protettore. E se anche i pullman dalla Calabria non sono arrivati, la processione domenica 31 agosto c’è stata lo stesso.

Video di Stefano De Agostini

“E’ una questione di tradizione, di memoria, di identificazione”, commenta il sindaco di Fino Mornasco, Giuseppe Napoli, anche lui originario di Giffoni, che segue la processione con la fascia tricolore. “Qui anzi siamo rimasti ancora più attaccati alla tradizione, perché invece dell’inchino, fermiamo la statua davanti a chiunque voglia appendervi dei soldi in dono, percorrendo tutto il paese”. Cosa non impossibile visto che la frazione di Andrate è un insieme di villette che da baracche si sono fatte ricche. Lontana dal paese, con poche case diroccate, era il luogo ideale dove relegare gli immigrati che nel dopoguerra salivano a costruire l’Italia. Ma se i calabresi formano la maggior parte della popolazione di Fino Mornasco, ad Andrate il legame si fa ancora più stretto, al punto da dare il nome alla via principale del paese.

Pochi ricordano, e malvolentieri, che proprio ad Andrate si è tenuto un summit di mafia, quando il boss Francesco Mazzaferro si è rifiutato di scendere a Polsi per la riunione annuale. Così come pochi ricordano che a Socco, altra frazione di Fino Mornasco, è nata una delle prime locali di ‘Ndrangheta al Nord. Verità contenute nell’inchiesta Fiori di San Vito, che nel 1994 ha portato alla condanna, fra gli altri, di 29 giffonesi trapiantati nel comasco. “Si, ma sono cose di vent’anni fa. Oggi una locale a Fino Mornasco non esiste più”, risponde l’organizzatore Pino Mandaglio, “infatti nell’inchiesta Infinito non compare”. Primo cono d’ombra: quel che non compare, non esiste. Non importa se Mariano Comense, che occupa ampio spazio nell’inchiesta, dista solo pochi chilometri. Né importa il fatto che a luglio il figlio del boss Salvatore Muscatello sia stato recentemente arrestato per droga, mentre il padre è in carcere a scontare la sua condanna. Né che pochi giorni fa sia stato sequestrato un distributore di benzina a Bulgarograsso, ancora a pochissimi chilometri di distanza. “Ma queste sono cose che accadono ovunque”, prosegue il nostro interlocutore. Secondo cono d’ombra.

E’ il maggio del 2012 quando i carabinieri di Fino chiamano il sindaco Giuseppe Napoli. Ciò che devono mostrargli è una croce artigianale, costruita lungo la strada che porta al cimitero, con una sua foto e una bomba a mano senza carica fissata al palo. A settembre bruciano due auto a due esponenti dell’amministrazione comunale. Seguono degli spari alla concessionaria d’auto dell’assessore al commercio. E’ il periodo in cui è in discussione il pgt (piano di governo del territorio), poi approvato nel 2013. Apparentemente, dopo il 2012, le intimidazioni cessano. Cosa è cambiato? “E’ cambiato che io ho denunciato apertamente l’accaduto e l’artefice di questi gesti non si aspettava tanto clamore”, sostiene il sindaco Napoli. Intanto, stupiti dalla presenza di tanti giornalisti, uno dei ragazzi che portano la statua di San Bartolomeo sbotta “con tutti i problemi che abbiamo, questi stanno a guardare gli inchini …”.

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