Un vero terno al lotto. Per la famiglia Boroli-Drago l’offerta pubblica d’acquisto su Seat Pagine Gialle, lanciata 14 anni fa dalla Telecom di Roberto Colaninno, fu davvero una vincita eccezionale. Di cui però i soci del gruppo De Agostini non sembrano oggi grati al Paese. Prova ne è il fatto che le famiglie di Novara trasferiranno presto tutte le attività delle lotterie e delle scommesse in Inghilterra per pagare meno tasse in un sistema “stabile”. E si lasceranno così alle spalle l’Italia dove la pressione fiscale è alle stelle e le incertezze normative fanno paura al mondo delle imprese. Eppure quell’operazione, datata Duemila, permise alla famiglia Boroli-Drago, che controlla De Agostini, di partecipare accanto a Comit (oggi Intesa) e Investitori Associati, alla spartizione di 6,4 miliardi di guadagni netti derivanti dalla cessione della quota Seat comprata dallo Stato attraverso il consorzio Ottobi nella stagione delle privatizzazioni del 1996. Un “bottino” che gli eredi dell’Istituto Geografico De Agostini di Novara fecero fruttare investendo un anno dopo in Lottomatica, poi diventata Gtech, società che gestisce lotterie e scommesse in concessione pubblica. Ma che, soprattutto, oggi intendono moltiplicare ancora con un’offerta da 6,4 miliardi di dollari sulla International game technology di Las Vegas.

Archiviata l’acquisizione statunitense, tutte le attività dei giochi confluiranno in una nuova realtà che, sulle orme piemontesi della Fiat, prenderà la via dell’estero: De Agostini ha infatti deciso di sfruttare la “corporate tax road map”, un percorso di incentivazione alle imprese predisposto dal governo londinese dal 2010. In questo modo il nuovo gigante dei giochi, che si avvantaggerà di contenute ritenute sugli investimenti (20% su persone fisiche non residenti) e agevolazioni in ricerca e sviluppo, pagherà alle casse di Sua Maestà solo il 20% di tasse, livello inferiore alla media del G20 (30%). Un normale percorso di ottimizzazione fiscale per una multinazionale. Tuttavia il gruppo guidato da Lorenzo Pellicioli, senza gli incassi della partita pubblica Seat, non avrebbe avuto vita facile nella metamorfosi che in appena quattordici anni ha trasformato una piccola società editoriale in un colosso internazionale da 4,9 miliardi di fatturato e 24 milioni di utili con interessi nei media, nelle scommesse e nel mattone.

Certo il tempismo e la capacità di selezionare gli investimenti non è mai mancata al management sabaudo. Basti pensare alla ricca plusvalenza (un miliardo e mezzo) realizzata comprando nel 2003 la Toro assicurazioni dalla Fiat e rivendendola appena tre anni dopo alle Assicurazioni Generali. O ancora alla diversificazione nel mattone che ha visto Dea Capital, braccio finanziario di De Agostini, in prima linea nel comparto dei fondi immobiliari con la creazione di Idea Fimit, la più importante società di gestione di fondi nel mattone (10 miliardi di asset gestiti), di cui De Agostini è il più importante socio (64%) accanto all’Inps (29,6%) e ad Enasarco (5,9%). Un settore importante quello immobiliare che, a differenza dei giochi, resterà saldamente ancorato a Roma dove la famiglia di Novara mantiene i legami con la politica di Palazzo attraverso personaggi chiave come Antonio Mastrapaqua, il pluripoltronato ex presidente dell’Inps il cui nome è stato proposto come consigliere all’assemblea di DeA Capital.

Anche perché, in questa fase, nella capitale sono in corso le grandi manovre per la cessione di buona parte del patrimonio immobiliare dello Stato italiano. Ciò non toglie che, anche nel mattone, in futuro, De Agostini possa trovare più conveniente spostarsi oltre confine per gestire fiscalmente al meglio anche gli eventuali nuovi immobili italiani in portafoglio. Post privatizzazione di Stato, s’intende.

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