Faccio un rapido calcolo mentale: sono tornato in questa città diciassette anni dopo la morte di mia madre, sette anni dopo la morte di mio padre e ventitré anni dopo la mia partenza per la Francia. Tuttavia non mi sono accorto del passare del tempo. Sono una cicogna nera le cue perenigrazioni sono talmente lunghe che ormai superano la durata media della vita umana. Mi sono fermato sulle rive del ruscello delle origini, il passo sospeso, sperando di poter arrestare il corso di un’esistenza turbata da questa pioggia di foglie cadute dall’albero genealogico. Mi sforzo di trovare qualche buona ragione per amare questa città, pur così scomposta e deformata da una crescita anarchica. E intanto lei, vecchia amante, fedele come il cane di Ulisse, mi tende le sue lunghe braccia stanche, mi mostra giorno dopo giorno le sue profonde ferite, come se potessi sanarle con la bacchetta magica.

Dal 12 giugno torna in libreria lo scrittore congolese Alain Mabanckou con una sorta di reportage che si legge come un ritorno alle proprie radici, un confronto emotivo e narrativo su quello che è stata e quello che è oggi Pointe-Noire, la città in cui lo scrittore è nato e cresciuto. Il libro in questione è “Le luci di Pointe-Noire”, tradotto da Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco e pubblicato, come i suoi ultimi lavori, da 66thand2nd.

È il giugno del 2012 e Alain Mabanckou, dopo ventitré anni di assenza, torna a Pointe- Noire. La città non è più il luogo mitico e variopinto che l’autore ha descritto in “Domani avrò vent’anni”. È arrivato il momento di dire addio agli eroi dell’infanzia e ai tanti personaggi che hanno animato i suoi ricordi. Mamma Pauline e papà Roger non ci sono più, Yaya Gaston, il fratellastro-playboy, è diventato l’ombra di sé stesso, la sorellastra Georgette si sbianca la pelle e gli chiede un milione di franchi locali. Lo sguardo adulto di Mabanckou si posa sulla città, la scruta: ecco il vecchio cinema Rex, dove da bambino guardava i film western, oggi trasformato in una chiesa pentecostale, ecco il liceo Karl Marx, che ora si chiama Victor Augagneur. L’occhio indugia, esplora lo spazio circostante e a poco a poco affiora la nuova Pointe-Noire con le sue luci e le sue ombre, i suoi quartieri e le strade che Alain ripercorre dopo tanto tempo e che lo riporteranno finalmente a casa.

Le luci di Pointe-Noire” è un libro emotivamente molto forte, che funziona grazie alla prosa sciolta e colorita dello scrittore. Il lettore si immerge in una realtà africana poco nota in Italia, nella quale scopre che i giovani congolesi degli anni Settanta ridevano e sognavano con “Lo chiamavano Trinità…”, “L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente”, “Due superpiedi quasi piatti”, “Fantomas minaccia il mondo”, dove la dialettica marxista-leninista insegnata a scuola era tale e quale a quella che poteva essere insegnata a Mosca o Sofia, e dove i bambini erano liberi e felici, come in qualsiasi parte del mondo, e non avrebbero mai barattato la loro infanzia spensierata.

Nel libro c’è anche una parte dedicata al rapporto con i “cugini” della Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire (Kinshasa fu fondata da Henry Morton Stanley nel 1881 con il nome di Léopoldville, in onore del sovrano belga Leopoldo II, appena un anno dopo che il suo rivale nell’esplorazione del fiume Congo, Pietro Savorgnan di Brazzà, aveva fondato Brazzaville sulla riva opposta del fiume). Per scrivere di questo “scambio” Mabanckou si affida alla descrizione del quartiere Trois-Cents, il regno della prostituzione cittadina, popolato da professioniste del sesso autoctone e zairesi.

Del resto quelle ragazze non erano state le uniche ad attraversare il fiume Congo per raggiungere la stazione di Brazzaville e poi partire in treno alla volta di Pointe-Noire, dove le attività portuali garantivano una certa stabilità economica. Dal ‘paese di fronte’ arrivarono anche muratori, falegnami e tiratori di risciò. Siccome parliamo la stessa lingua e abbiamo la stessa cultura, quegli immigrati non erano per niente spaesati nella nuova patria, si confondevano tra la folla e sarebbero passati del tutto inosservati se non avessero accettato lavori che i congolesi, con la scusa che loro avevano ‘studiato’, disdegnavano. Per gli zairesi che sbracavano da noi l’unico principio valido era quello del tirare a campare.

Alain Mabanckou dopo la pubblicazione del suo primo romanzo “Bleu-Blanc-Rouge” (1998), premiato con il Grand Prix Littéraire de l’Afrique norie, dedicherà sempre più tempo e risorse alla scrittura, iniziando a pubblicare con regolarità romanzi e poesie. I suoi libri sono tradotti in più di quindici lingue. Il romanzo “Black Bazar” (2009, tradotto in italiano dalla casa editrice 66thand2nd) si posiziona tra i primi venti più venduti in Francia secondo le classifiche delle riviste L’Express, Nouvel Observateur e Livres Hebdo. Nel 2010 debutta nella prestigiosa collezione Blanche della casa editrice Gallimard con il romanzo “Domani avrò vent’anni” (66thand2nd, 2011), ottenendo anche il premio Georges Brassens. Nel 2010 viene nominato Cavaliere dell’ordine della Legion d’onore per decreto del Presidente della Repubblica. Sempre con 66thand2nd nel 2013 ha pubblicato l’originale e divertentissimo noir “Zitto e muori“.

L’autore sarà ospite al prossimo Letterature Festival Internazionale in Piazza del Campidoglio a Roma il 17 giugno insieme a Yasmina Khadra e Stefano Benni.

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