Deflazione. Parola che sembra destinata a sostituire quello che è stato per due anni il tormentone di numerosi Tg: lo spread. Molto dipenderà dalle scelte che fra poche ore prenderà il numero uno della Banca Centrale Europea Mario Draghi. A lui il compito di salvare l’economia dell’eurozona dallo spettro del continuo calo di prezzi sommato alla discesa del Pil.

Innanzitutto, una premessa. E’ bene non pensare che la disinflazione, cioè il volgere in negativo dei prezzi dei beni di consumo, sia una cosa buona. Potrebbe esserlo nel breve termine solo per un pensionato o un lavoratore dipendente (entrambi con mensilità fisse) purché siano senza debiti e si guardino bene dal fare alcun tipo di investimento. Per tutti gli altri la deflazione unita al crollo del Pil può portare solo rogne. Lo sanno bene gli americani che hanno attraversato la Grande Depressione post 1929. I prezzi dei beni di consumo scesero in 4 anni del 22% e lo stesso fece il prodotto interno lordo. Il risultato anche oggi sarebbe quello di assistere a due principali effetti. Sul lungo termine, assieme al crollo del prezzo del pane o di un televisore ci sarà anche il calo del valore dei servizi e dei compensi. Stipendi compresi, che non sono più sostenibili da un sistema depresso e da un reddito nazionale decrescente. A restare fermi saranno invece i prezzi dei debiti. Sia i mutui dei privati sia il debito pubblico. Più scende l’inflazione più il tasso d’interesse reale dei titoli di Stato diventa svantaggioso. Col rischio di sballare il rapporto deficit/Pil che l’Italia si è impegnata a mantenere sotto il 3%. Il secondo effetto è più psicologico ma altrettanto pericoloso. Chi deve fare una spesa la rimanda perché sa che domani sarà più conveniente. Idem faranno le aziende quando si trovano a investire. E così l’economia si blocca. Senza dimenticare il costo del lavoro. Infatti l’andamento dei prezzi in Europa è molto difforme. A marzo l’inflazione in Italia è salita dello 0,3% e il paese si avvia verso un valore negativo, mentre in Germania è cresciuta dello 0,9%. Praticamente un terzo. Una proporzione che si riflette anche sul costo del lavoro e sulla produttività. Quindi sulla capacità di ripresa.

Sommando i diversi effetti della deflazione si rischia di azzerare il risultato positivo dell’abbassamento dello spread. Tanto che il nuovo tormentone potrebbe essere: vinciamo la deflazione altrimenti l’Italia avrà bisogno di una nuova manovra finanziaria. E allora sarebbero guai anche per quei pochi con reddito fisso e senza debiti. I ritmi del calo dei prezzi non sono tali da fare temere la Grande Depressione, ma quello che conta è che in situazioni di deflazione l’attività ordinaria della Banca Centrale è di fatto poco efficace.

Il tasso d’interesse già vicino allo zero dovrebbe andare in territorio negativo. Il che significherebbe tassare le riserve. E indirettamente tassare l’operatività delle banche e quindi ingolfare la situazione patrimoniale degli istituti. Già messi male. A Draghi non resterebbe che la strada americana al quantitave easing, ovvero l’acquisto di titoli sul mercato. In sostanza un modo per pompare denaro nell’economia e rimetterlo in circolo. Una strada pericolosa perché crea una bolla, come ha recentemente ricordato la banca centrale inglese. Solo che al momento non si conoscono altri sistemi per manovrare le valute. E vista l’urgenza potrebbe essere una opzione. Con il problema però della scelta politica sottostante. Poche settimana fa la Germania per bocca del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, ha fatto sapere che la Bce potrebbe acquistare titoli emessi da società private purché con rating elevato. Un modo per bocciare in anticipo la possibilità di fare incetta di titoli di Stato dei singoli Paesi. Italia, Spagna, Francia e Grecia in prima fila. Berlino vedrebbe la cosa come una sequenza di aiuti diretti. Peccato che l’acquisto di titoli privati al contrario penalizzerebbe l’Italia. Le cui aziende in quanto a rating mediamente soffrono. Sono sicuramente ore difficili per Draghi. Sarà complicato per lui agire per sostenere il nostro Paese. Ma senza aiuto ci avvieremmo verso una nuova manovra. E nuove tasse.

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