È bastata una pioggia più intensa ed è successo il peggio: una massa di polveri radioattive, interrate in una discarica abusiva a Brescia, è finita a contatto con la falda acquifera della città. Lo scrive l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente in un report sull’ex cava Piccinelli, uno dei siti contaminati più pericolosi della regione Lombardia secondo le autorità sanitarie: un’ex cava alle porte di Brescia in cui negli anni ’90 sono state sversate scorie di alluminio contaminate dal Cesio 137 fino a mille volte oltre i limiti per il terreno. Rifiuti radioattivi che da anni minacciano la falda acquifera. L’Arpa tranquillizza i cittadini escludendo la contaminazione poiché “gli acquedotti pescano da una seconda falda ad una profondità maggiore”. Ma il geologo dell’Agenzia Gian Paolo Oneda pochi mesi prima scriveva che “la falda è una sola”. Ad aumentare le preoccupazioni è la mancanza di un dispositivo di controllo dei movimento dell’area interrata.

“Il 6 ottobre 2013 – si legge nella relazione dell’Arpa, che ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere – si è verificata la parziale sommersione di uno spessore di 10-20 centimetri dei volumi radiocontaminati”. È la prima volta che il contatto tra le scorie e la falda viene certificato da un ente di controllo. Fino ad ora si era sempre trattato di timori, calcoli e ricostruzioni di possibili scenari avvenuti in passato, quando la rete di monitoraggio non era attiva. Scenari che la Prefettura solo nel giugno 2013 prospettava al Ministero dell’Ambiente usando rigorosamente il condizionale: “Esisterebbe una concreta possibilità che la falda freatica, anche in ragione della eccessiva piovosità degli ultimi periodi, possa raggiungere i rifiuti radio contaminati”. Ora invece sappiamo che è successo. 

A questo punto, la discussione si sposta sulla sicurezza dell’acqua che esce dai rubinetti di Brescia: le analisi sulle acque eseguite finora non hanno riscontrato contaminazione. Sia le analisi condotte sulle acque di falda che sull’acqua immessa nella rete idrica dalla multiutility A2A hanno escluso la presenza di radioattività “in concentrazioni superiori alla sensibilità analitica”. Questo il dato che l’agenzia si limita a riportare senza ulteriori spiegazioni. Sulla stessa linea è anche l’ultima relazione dell’Arpa, firmata dalla dirigente dell’“area radiazioni” Maria Grazia Santini e dal chimico Sergio Resola: una contaminazione dell’acquedotto sarebbe lo scenario “più critico sebbene non realistico – scrivono i tecnici – per l’assenza di punti di captazione, in prossimità dell’area, di acque dalla prima falda” destinate al consumo umano. Nessun problema quindi per i pozzi dell’acquedotto, che pescano a una profondità maggiore, nella seconda falda. 

Ma il collega Gian Paolo Oneda, geologo dell’Arpa, solo pochi mesi fa, aveva stabilito invece come in quella zona non vi sia alcuna distinzione tra la prima e la seconda falda. Ci sarebbe, insomma, una sola falda. Una situazione che metterebbe più a rischio, potenzialmente, il pozzo che si trova a sud della discarica abusiva, regolarmente allacciato all’acquedotto. Il geologo che ha firmato quella relazione nell’aprile 2012 non si occupa più del caso. Raggiunto al telefono, risponde: “Confermo tutto: la falda è una sola”. Se fosse così, la situazione sarebbe grave a causa delle proprietà fisiche del Cesio 137, tra gli isotopi radioattivi più solubili.

Per monitorare il sito attuamente non esiste un dispositivo che segnali in tempo reale i movimenti della falda. L’Arpa nel giugno scorso lo aveva chiesto al Comune di Brescia, che non ha ancora provveduto. Pochi giorni fa, per far fronte alle emergenze ambientali, la consigliera M5S Laura Gamba ha presentato un emendamento per destinare 820mila euro per gli interventi urgenti di bonifica. Una scelta condivisa e rilanciata anche da Legambiente. Ma l’emendamento è stato bocciato dalla maggioranza di centrosinistra: quei soldi verranno utilizzati per la ristrutturazione di una piazzetta del centro storico.

LA PRECISAZIONE DELL’ARPA: “MAI RILEVATO CESIO 137”

I monitoraggi effettuati da ARPA sulla rete di piezometri realizzata nell’area della Cava Piccinelli non hanno mai rilevato la presenza di Cesio 137. L’ultima campagna risale al settembre 2013, periodo in cui il livello di falda raggiunto faceva ipotizzare la parziale sommersione dei rifiuti radiocontaminati, situazione idrogeologica più sfavorevole, e anche in quell’occasione non è stato rilevato Cesio 137. Lo scopo del monitoraggio è proprio quello di prevenire il rilascio e di poter intervenire, nel caso in cui venissero verificate delle anomalie. D’altro canto le ubicazioni, le stratigrafie e le caratteristiche costruttive dei pozzi pubblici delle aree circostanti riducono il rischio che gli stessi possano essere raggiunti da potenziali contaminazioni prodotte dalla cava.

L’oggetto della precisazione, ovvero che finora le analisi non hanno riscontrato contaminazione, era già ampiamente riportato nell’articolo. Piuttosto i vertici dell’Agenzia continuano a ignorare i risultati della relazione firmata nell’aprile 2012 dal loro stesso geologo, dott. Gian Paolo Oneda, che escludeva in quella zona la presenza di due falde acquifere. Eccone uno stralcio: “Per i primi 50-60 m dal piano campagna vi è un’unità idrogeologica costituita da ghiaie-sabbiose, contenenti una falda freatica”. Risultati ribaditi dal dott. Oneda nel giugno 2012 anche di fronte alla Commissione ambiente del Consiglio comunale di Brescia: “Lì c’è un acquifero unico, abbiamo una falda unica. Anche per l’uso idropotabile”. Se l’Arpa ha motivo di ritenere che l’acquedotto sia al sicuro da un’eventuale contaminazione radioattiva, mostri i dati tecnici o quantomeno citi le sue fonti. Le mie sono il dirigente geologo della stessa Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (a. t.)

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