Davide Cassani è il nuovo commissario tecnico della nazionale di ciclismo italiana. Una carriera da onesto gregario negli Anni ’80 e ’90, con una ventina di vittorie, un paio di successi di tappa al Giro e altrettanti piazzamenti alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro di Lombardia. Poi, storica voce del ciclismo Rai per 18 anni. Fino ad oggi. Adesso dovrà raccogliere l’eredità di Paolo Bettini, che ha lasciato la nazionale per accettare (manca solo l’ufficialità) l’offerta del nuovo team di Fernando Alonso. Sarà la nuova guida degli azzurri. Una maglia che nella sua vita ha significato tanto. “Quando ero in nazionale, la mattina del mondiale indossavo la maglia e andavo a vedermi allo specchio. Che emozione”, ricorda su Twitter. Per lui – lo ha fatto capire più volte – essere ct dell’Italia sarà un onore. Ma anche e soprattutto un onere: il ciclismo italiano (a cui una medaglia mondiale manca dal 2008) non è mai stato così in crisi come negli ultimi anni.

Cassani, ieri sera è arrivata l’investitura del presidente federale Di Rocco. Cosa manca ancora per l’ufficialità?
L’impegno è stato preso. In settimana incontrerò il direttore di Rai Sport Mauro Mazza e il responsabile del ciclismo Alessandro Fabbretti. Per correttezza loro sono state le prime persone che ho avvisato: c’è da risolvere il mio impegno con la Rai. Mi piacerebbe continuare a collaborare, ma sicuramente non farò più il commentatore: sarebbe poco professionale.

Che durata avrà il contratto da commissario tecnico?
Inizialmente fino alle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016: due mondiali (Ponferrada, in Spagna, nel 2014 e Richmond, Stati Uniti, nel 2015, nda) e i Giochi, appunto. Poi faremo un bilancio e vedremo.

L’Italia non vince un mondiale ormai da 5 anni. Che nazionale trova?
Prendo in mano un movimento che comunque può offrire individualità importanti: ci sono giovani promettenti, c’è Nibali che nelle corse a tappe è uno dei migliori al mondo. Abbiamo tutti i presupposti per essere una nazionale di vertice. Certo, però, è innegabile che l’Italia non sia più la potenza di vent’anni fa.

Come si spiega questa crisi di risultati?
Soprattutto con l’esplosione di alcuni Paesi che non esistevano nella mappa del ciclismo mondiale. Penso al Regno Unito e all’Australia, che hanno messo su una struttura centralizzata, in grado di sfornare campioni impressionanti dalle accademie. Il mio primo compito sarà andare a vedere queste realtà di persona: con umiltà dobbiamo ricominciare a studiare, imparare dai migliori. I tecnici bravi non ci mancano, dobbiamo migliorare nell’organizzazione. Anche se i risultati di Inghilterra e Australia si spiegano anche con investimenti molto importanti.

Il budget della nazionale italiana però non è paragonabile a queste cifre. Cosa chiederà alla Federazione?
Fino ieri sono stato ciclista e commentatore, certi aspetti non li conosco ancora nel dettaglio. Approfondirò presto la situazione e farò delle proposte. E’ chiaro che per puntare in alto ci vogliono delle risorse adeguate.

Bettini ha lasciato anche perché sperava di avere un budget maggiore e più autonomia decisionale. Lei che ct sarà: solo un “selezionatore”?
Mi sono sempre buttato mani e piedi in ogni progetto della mia vita. Non mi interessa essere allenatore per una settimana all’anno, e non credo interessi neppure alla Federazione. Voglio lasciare un segno, però lo farò approcciandomi sempre con grande rispetto. Nella mia carriera sono stato un gregario: conosco l’importanza del lavoro di squadra.

Oggi è il primo giorno da ct: quale obiettivo si pone per il prossimo triennio?
Ottenere il massimo. Quando parliamo di giovani la vittoria non è l’obiettivo principale, quando parliamo di professionisti sì. E noi siamo l’Italia, non dobbiamo dimenticarcelo. Nessuno potrà prescindere dai risultati. Nemmeno io.

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