La chiamano ormai “la piaga delle canzoni a contenuto alcolico”. La John Moores University di Liverpool ha analizzato oltre 600 canzoni andate nelle classifiche britanniche negli ultimi anni. E nel giro di un decennio, fra il 2001 e il 2011, testi e tracce con riferimenti al consumo di alcool sono, in numero, più che raddoppiati, e sono addirittura passati dal 2,1% del totale nel 1991 al 18,5% nel 2011. Ora gli studiosi dell’università avvertono: “Questi riferimenti al bere sono sicuramente un riflesso e una descrizione della moderna gioventù. Ma sono anche una forma indiretta di marketing, rivolta a persone che possono essere influenzate molto facilmente. Gli operatori ora devono stare molto attenti, in quanto queste canzoni raggiungono un pubblico molto più vasto e molto più giovane di quello coinvolto dalle stesse pubblicità di bevande alcoliche”.

La scorsa estate, con un altro studio, l’università di Boston, negli Stati Uniti, aveva stabilito che ormai un quarto delle canzoni prodotte in America contengono riferimenti all’alcol e un sesto di queste mettono in relazione drink e comportamento sessuale. Fra le canzoni indicate dagli studiosi, Last Friday Night di Katy Perry, che descrive una notte di bevute e di “troppi shot”, che si conclude in comportamenti antisociali. Ma anche altri testi, come quelli di Snoop Dogg, sono stati accusati dai ricercatori di anteporre una visione “distorta” di ciò che è giusto per il nostro corpo rispetto alla “salvaguardia dei nostri giovani”. E gli studiosi hanno aggiunto: “Siamo già molto impegnati, in questo Paese, a evitare fenomeni come il bere compulsivo e l’alcolismo. Ora, veramente, dobbiamo fare qualcosa e dobbiamo sensibilizzare la produzione musicale, per fare in modo che ci sia un’inversione di tendenza”.

E, in un Paese in cui il 75% dei cittadini adulti eccede, ogni giorno, il limite consigliato di alcol e dove la spesa sociale per far fronte ai problemi correlati è di miliardi di sterline, gli studiosi di Liverpool hanno chiesto anche l’intervento della politica. Nel mondo, intanto, si moltiplicano gli studi che mettono in relazione comportamenti giovanili e musica rock, pop e rap. I rapper americani, in particolare, sono spesso stati ricollegati alla crescente omofobia in alcune fasce d’età, anche se spesso alcune discussioni ricordano la caccia alle streghe di quando si diceva che il rock era “demoniaco”. Ora, appunto, è la volta dell’alcol, con dati, questa volta numerici, che indicano un crescente interesse allo “sballo da drink” da parte dei produttori musicali e dei cantanti. Intanto, un mese fa, il Centre for Social Justice aveva avvertito: “Il Regno Unito è la patria delle dipendenze. E Londra ne è la capitale”.

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