È morta una tassa e se ne fa una nuova. Questo è il destino dell’Imu e forse è il destino che accomuna tutti gli italiani, che ancora una volta rimarranno zavorrati dalla pesantezza del Fisco italiano. Una scossa che non farà certo bene all’economia del Paese che ha registrato due anni consecutivi di recessione con tre governi differenti.

Ricordiamo, prima di parlare della nuova Taser, che l’abolizione dell’Imu sulla prima casa equivale allo 0,4 per cento della spesa pubblica italiana. Quindi tutto il dibattito estivo italiano si può dire che si sia basato sul nulla o quasi. Ma veniamo alla copertura che serve ad abolire l’Imu sulla prima casa: la nuova tassa sui servizi che è stata nominata dal governo stesso come Taser. Un nome un po’ scioccante dato che Taser è anche il nome della pistola che emette scariche elettriche e serve ad immobilizzare. Proprio per questo è stata subito ribattezzata Service Tax.

Ma che cosa è? La nuova tassa serve a coprire la gestione dei servizi di raccolta dei rifiuti urbani (non proprio efficienti in Italia) e, al contempo, alla contribuzione a quei servizi indivisibili dei Comuni, quali la polizia municipale o la luce dei lampioni. Come se in Italia non ci fossero già abbastanza tasse per coprire questi servizi indivisibili. Su quali principi si basa questa nuova tassa? Quelli federalisti, secondo i quali la nuova tassa servirebbe a responsabilizzare l’amministrazione comunale. Bisogna però ricordare che le tasse a livello non centrale non hanno responsabilizzato troppo le amministrazioni italiane, come dimostrano tutti i casi di mala gestione, dalla gestione delle aziende pubbliche locali fino alle Regioni.

Veniamo al dunque: quanto peserà nelle tasche degli italiani questa nuova tassa? E qui viene la sorpresa: il comunicato del governo non specifica assolutamente nulla. È molto probabile che alla fine del clamore Imu, si scoprirà che la nuova Taser servirà a coprire la riduzione della tassazione sulla prima casa. Anzi lo stesso Stefano Fassina, viceministro dell’Economia e responsabile economia del Partito Democratico lo evidenzia in un suo articolo di giovedì 29 agosto.

In definitiva si è parlato tanto di Imu, senza ricordare che vale lo 0,4 per cento della spesa pubblica, per poi arrivare, alla fine di agosto, ad introdurre una nuova tassa che molto probabilmente servirà a coprire il minore introito dovuto all’Imu. E tutto questo mentre ad ottobre ci sarà da trovare l’ennesima copertura per evitare l’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento.

Forse il problema allora non è tanto rinominare le tasse. Gli italiani si ricordano in fretta il nome delle nuove tasse, ma è ben più importante cominciare a trovare delle coperture tramite la riduzione della spesa e con la vendita dell’aziende pubbliche che sono gestite troppe volte con criteri politici e non economici. E, nonostante tutti i tagli annunciati, ci si potrebbe domandare perché la spesa pubblica sia aumentata dal 48,6 al 50,6 per cento del prodotto interno lordo dal 2008 e 2012. Si è ridotto il Pil certo, ma anche in valore assoluto la spesa è aumentata di quasi 30 miliardi di euro nello stesso periodo. E tra il 2008 e il 2011 i dati mostrano che, mentre la spesa totale dello Stato era cresciuta di soli 21 miliardi, quella relativa alla spesa sociale e sanitaria è aumentata di ben 32 miliardi.

Articolo Precedente

Banca Marche, commissariata da Bankitalia: patrimonio ai minimi termini

next
Articolo Successivo

Quell’inciucio locale che frena il credito

next