Il consiglio dei ministri ha varato un decreto su femminicidio, stalking e cyberbullismo, dodici norme che hanno tre importanti obiettivi: prevenire la violenza di genere, punire in modo certo e proteggere le vittime.

Si tratta di provvedimenti di una certa rilevanza, indice di un coinvolgimento maggiore del governo per il contrasto alla violenza di genere. Questo è sicuramente positivo. Dispiace però, oltre agli altri punti deboli evidenziati dalla collega Nadia Somma, non trovare alcun riferimento riguardo alla presa in carico degli uomini autori di comportamenti violenti, i cosiddetti “maltrattanti”, termine che, come ho già avuto modo di scrivere, evito personalmente di utilizzare perché etichettante.

Sono convinto che, quando si parla di prevenzione della violenza di genere, non sia possibile non occuparci anche degli autori di questa violenza. E’ importantissimo proteggere le vittime e sostenerle in ogni modo, così come è fondamentale punire il reato, ma si tratta di interventi a posteriori, quando la violenza è già stata commessa o reiterata troppe volte.

Nel mio lavoro ho spesso a che fare con uomini che hanno compiuto delle violenze e mi accorgo di quanto uno spazio di ascolto possa, in certi casi almeno, essere per loro sufficiente a interrompere quello che tecnicamente viene chiamato “agito violento”. Non è semplice, non lo è affatto, ma osservo come molti uomini si impegnino riuscendo a trovare delle modalità comunicative più funzionali che non implichino l’uso della forza. La differenza la fa semplicemente il volerlo, la motivazione. Ne ho visti e ne vedo di uomini che riconoscono il problema e chiedono aiuto in proposito. Ripeto, nessuna formula magica: il lavoro da fare insieme è impegnativo e faticoso, ma può dare dei risultati e il maltrattamento può interrompersi.

Molte coppie, anche quando lui ha avuto e/o continua ad avere un comportamento violento, scelgono di rimanere insieme. Ci sono situazioni in cui la donna non se la sente di lasciare il compagno/marito perché ne ha paura, oppure perché non saprebbe come mantenersi economicamente oppure perché è convinta che, lasciandolo, farebbe del male ai loro figli. Ci sono anche situazioni in cui la donna vuole davvero continuare a stare con il proprio uomo nonostante la pericolosità del vivere in un contesto di violenza domestica. E se lui dovesse essere in grado di chiedere un aiuto e un sostegno, questo aiuto e questo sostegno lo deve trovare. Altrimenti parlare di prevenzione risulta essere un semplice slogan privo di contenuto.

La Casa delle donne di Bologna ha stilato l’elenco dei Centri in Italia che si occupano della presa in carico degli uomini autori di violenza. Fino a quattro anni fa non esisteva niente in proposito, ora sono ben dodici le realtà che si occupano del problema e, sebbene siamo ancora lontani dal coprire il territorio nazionale, si sono fatti molti passi avanti: l’interesse verso il lavoro con questa utenza va crescendo sempre più.

Quando si parla di “violenza di genere” ritengo fondamentale non occuparsi esclusivamente della violenza degli uomini sulle donne, ma aprire uno spazio di riflessione e di studio anche sulla violenza delle donne sugli uomini. Molti minimizzano il fenomeno o lo ritengono molto meno diffuso rispetto alla violenza maschile. Tuttavia proprio per poterlo affermare con certezza, sono necessari studi che permettano di fornire dati il più corretti e scientifici possibili. Su argomenti così rilevanti non si può discutere di opinioni e impressioni per quanto marcate e fondate queste possano essere. Dobbiamo partire dalla realtà oggettiva e non soggettiva. Per questo, istituire un Osservatorio nazionale in grado di analizzare scientificamente il fenomeno sarebbe dovuto essere un punto al centro del decreto legge contro la violenza di genere, come del resto richiesto da tempo dalle associazioni e dai centri antiviolenza

Un’ultima considerazione. Nel decreto legge viene data corsia preferenziale ai processi per femminicidio: non nascondo una certa perplessità in proposito. Una morte è una morte: non si può pensare che ci sia un ammazzato di serie A e un ammazzato di serie B. Molte donne sono state uccise per il solo fatto di essere donne e questo va riconosciuto senza esitazione, ma è indice di una società non egalitaria e sofferente, dare una corsia preferenziale a determinate tipologie di reato. Proprio in virtù del principio di parità per cui lottiamo ogni giorno.

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