Non sono andata al funerale di Enzo Jannacci. Faccio fatica a frequentare funerali e cimiteri. Però questa mattina sono andata a salutarlo al Teatro Dal Verme. E gli ho lasciato questo biglietto:

Caro Enzo,

scusa se arrivo solo oggi, proprio all’ultimo momento, ma ero fuori Milano: sai come siamo noi milanesi, sempre pronti a scappare dalla città dove non possiamo fare a meno di tornare, perché non sapremmo vivere altrove.

Non avrei mai potuto lasciarti andare via senza un saluto. Mi hai accompagnato dall’infanzia alla maturità, ti ho ascoltato nei dischi e dal vivo. E ti ho anche intervistato, molte volte.

Mi hai fatto tanto ridere. E tanto riflettere. Che è il massimo, se ci pensi.

Ho condiviso le tue canzoni con mio padre e mia madre, con mio marito (lo hai conosciuto: Gianpiero Borella, musicista e giornalista, se n’è andato tredici anni fa). E con mia figlia Carolina: le conosce tutte, le tue canzoni, a cominciare dalle più antiche e poco conosciute come Il cane con i capelli, Bambino boma o Passaggio a livello.

Ecco, volevo solo dirti che hai rappresentato molto per me e per la mia famiglia e per i miei amici, fra i quali tanti “terroni”.

Ciao Enzo, fai buon viaggio

Valeria

P.S. Un abbraccio a tua moglie e a tuo figlio.

Milano, 2 aprile 2013

 P.P.S. Nel biglietto mi sono dimenticata di chiederti ancora scusa per quel titolo all’ultima intervista che ti ha fatto tanto incazzare e toccare le palle (come tutta la gente dello spettacolo eri scaramantico). Non era mio (come sai chi scrive gli articoli non scrive i titoli) e diceva: “Una risata mi seppellirà”. Non era solo un brutto titolo, era anche clamorosamente sbagliato, perché oggi ad accompagnarti nel tuo ultimo viaggio non è una risata ma un’enorme e commossa ondata di affetto.

 

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