L’entità delle multe – In caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della multa da euro 5.000 ad euro 100.000 tenuto conto della gravità dell’offesa e della diffusione dello stampato.

Al momento dell’accordo quasi tutti, tra maggioranza e opposizione, erano dell’opinione di limare le cifre portandole tra i 5 mila e i 50 mila euro. Poi Rutelli dell’Api e Nitto Palma del Pd hanno fatto saltare il tavolo pretendendo che chi diffama debba almeno pagare cifre “esemplari”. Rutelli è contrario alla cancellazione del carcere.

L’opinione dell’avvocato Caterina Malavenda

E’ auspicabile che non approvino l’emendamento che “riduce” il massimo della multa a 50.000 euro per rendere più agevole e più fondato il ricorso a Strasburgo per violazione dell’art. 10 della Convenzione Europea.

Taglio dei contributi dell’Editoria per chi viene condannato – Il giudice dispone che i soggetti civilmente responsabili che abbiano ricevuto contributi per l’Editoria restituiscano al Dipartimento dell’informazione presso la Presidenza del Consiglio l’equivalente della somma degli importi della multa, della riparazione pecuniaria e del risarcimento dei danni. In caso di recidiva reiterata il giudice dispone che la corresponsione dei predetti contributi venga sospesa fino all’ammontare dell’importo dovuto per un anno.

L’aula del Senato ha bocciato di misura, grazie al voto piuttosto compatto dei senatori del Pdl insieme alla Lega e a qualche defezione nel Pd, gli emendamenti soppressivi del Pd e del Pdl sul taglio dei fondi dell’Editoria in caso di condanna per diffamazione. Sono stati 119 voti contrari alla soppressione che un’intesa di maggioranza aveva previsto di modificare. Battuti i 112 favorevoli anche grazie alla presenza di 9 astenuti.

L’opinione dell’avvocato Caterina Malavenda

Tenuto conto dei rischi che nell’anno ci siano un certo numero di condanne, soprattutto in sede civile, le probabilità che le somme da restituire siano tali da causare la chiusura dei giornali sono altissime.

La rettifica – Devono essere collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono, pubblicate senza commento, nella loro interezza, con lo stesso rilievo e nella medesima collocazione, e con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. In caso di mancata o incompleta ottemperanza all’ordine di pubblicazione di cui al comma 8 si applica la sanzione amministrativa da euro 15.000 a euro 25.000.

L’accordo politico prevedeva che queste norme valessero solo per le testate giornalistiche, nessun obbligo, invece, per i commenti. I senatori del Pdl hanno preteso che venisse conservato l’obbligo dello stesso spazio e della stessa pagina ‘occupata’ dall’articolo diffamatorio.

L’opinione dell’avvocato Caterina Malavenda

Senza l’obbligo per il rettificante di documentare la verità di quel che scrive e con il divieto di replicare c’è il rischio concreto che circolino informazioni false. 

La norma ammazza libri – Per la stampa non periodica, la pubblicazione in rettifica deve essere effettuata, senza commento, entro sette giorni dalla richiesta della persona offesa, su non più di due quotidiani a tiratura nazionale indicati dalla medesima persona, con adeguato rilievo e idonee collocazione e caratteristica grafica; la pubblicazione in rettifica deve inoltre fare chiaro riferimento allo scritto che l’ha determinata.

Resta questa norma “ammazza libri” anche se leggermente attenuata con l’approvazione di un emendamento dell’Idv a firma Li Gotti, Bugnano e Pardi che prevede una rettifica, a spese dell’autore e dell’editore su “un quotidiano locale o nazionale”.

L’opinione dell’avvocato Caterina Malavenda

La rettifica a pagamento destinata a chi spesso non ha neppure letto il libro a cui si riferisce non raggiunge il suo scopo e incide irrimediabilmente sui conti e sulle scelte delle case editrici.

 
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