La macchina è partita, fermarla è un’impresa. E nella betoniera che macina agli occhi dell’opinione pubblica i partiti che hanno pagato e pagano per le apparizioni in televisione, non poteva mancare il Pd. È bastato allungare fare un viaggio fuori dalle porte di Bologna per capirlo, lungo l’A14, l’autostrada Adriatica. È stato sufficiente dare dare un’occhiata ai palinsesti delle emittenti romagnole, per scoprire come anche loro mettano mano al portafoglio pur di comparire sul piccolo schermo. Con buona pace del presidente dell’Assemblea regionale dell’Emilia Romagna, il renziano Matteo Richetti, che alcuni giorni, apostrofando il Movimento 5 Stelle e i “grillini”, aveva definito l’abitudine come “immorale”. Richetti è stato smentito addirittura dai suoi colleghi in Regione, che hanno ammesso senza problemi di aver acquistato spazi, interviste, trasmissioni.

Contattati da Il Fatto Quotidiano, gli uffici commerciali di Teleromagna e Telerimini affermano senza troppe premure di aver venduto spazi tv a consiglieri regionali del Pd, del Pdl e della Lega: “Lavoriamo con tutti i partiti politici, nessuno escluso”, confermano. Se è un segretario allora paga il partito, se è un consigliere regionale si fattura al gruppo assembleare. Il meccanismo è molto semplice e rodato”. Si tratta di classici spot (7,50 euro per 30 secondi di pubblicità), di servizi sul posto con operatore e giornalista o di vere e proprie interviste in studio. “Abbiamo un listino con i prezzi differenziati in base alle fasce orarie – spiega un agente che procura contratti a Teleromagna – Ma si può anche comprare uno spazio trasmesso a rotazione mattino, pomeriggio e sera”. Una delle trasmissioni più gettonate dai politici emiliano romagnoli è “30 minuti” , mandata in onda ogni giorno da Teleromagna. “Costa 500 euro ed è un approfondimento politico, con un ospite in studio che risponde alle domande del giornalista”.

La stessa emittente mette a disposizione un programma di circa 15 minuti, in cui gli eletti hanno la possibilità di spiegare cosa fanno e cosa hanno intenzione di fare.

Si chiama “La mia Regione” ed è utilizzato anche dal gruppo regionale del Pd. “Abbiamo un regolare contratto – conferma il consigliere regionale del Pd Thomas Casadei, più volte seduto negli studi di Teleromagna – ma viene sempre indicato che si tratta di una trasmissione a cura del nostro gruppo politico” . In realtà, alcune puntate, disponibili in rete dalla sigla iniziale alla sigla finale, appaiono prive della dicitura, o di loghi in sovrimpressione, che rivelino chiaramente la natura del messaggio a pagamento. Così come manca la didascalia nel servizio andato in onda su Videoregione a febbraio di quest’anno, dedicato a un convegno organizzato dal Pd forlivese a Castrocaro Terme. Quasi 14 minuti di immagini corredate di interviste a diversi esponenti di partito, tra i quali anche Casadei che spiega: “Non me ne sono occupato personalmente, ma non escludo che sia frutto di un contratto tra il Pd e l’emittente”.

In quest’ultimo caso i soldi provengono dalle casse del partito, che sborsa per avere un servizio giornalistico su un proprio evento. Le apparizioni dei consiglieri negli studi televisivi locali, invece, vengono comprate attingendo al fondo che la Regione mette a disposizione delle attività dei gruppi.

Un tesoro di quasi 4 milioni di euro l’anno, ripartito tra le varie formazioni politiche in base al numero degli eletti, che prevede anche altre voci, come pranzi di lavoro, iniziative pubbliche e incontri. Il capogruppo del Pd alla Regione Emilia Romagna, Marco Monari, esclude che il suo gruppo possa aver usufruito di questo budget per interviste a pagamento. “Noi compriamo spazi pubblicitari per campagne istituzionali e d’informazione, ma sempre diffusi in appositi spazi regolamentati e segnalati con il nostro simbolo”, si difende e non facendo niente per non apparire scocciato e imbarazzato. “Non abbiamo bisogno di acquistare comparsate televisive, a tradimento della buona fede dello spettatore. Se poi sono andati in onda video o trasmissioni senza la giusta dicitura – aggiunge – qualcuno dovrà chiarire. Io sono convinto che si debba capire senza difficoltà quando un programma è un prodotto politico. Perché non si può pagare e poi stare sul confine, in una zona di ambiguità, rischiando di ingannare chi guarda”. In pratica quello che Giovanni Favia, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, sostiene da quattro giorni e che, per lo stesso concetto, è stato travolto dal suo stesso “capo”, Beppe Grillo.

di Emiliano Liuzzi e Giulia Zaccariello

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