Qualche mese fa, quando il tema non era così attuale, avevo proposto delle riflessioni sulla mancanza di indipendenza delle c.d. autorità indipendenti.

Dopo le nomine di ieri all’AGCOM ed alla autorità sulla Privacy, il problema è divenuto evidente agli occhi di tutti. Credo tuttavia che si sia fatto un gesto di “trasparenza”: affidare incarichi del genere a soggetti “tecnici” che erano, di fatto, al servizio della politica era infatti considerato da molti degno della peggiore ipocrisia della politica da “prima Repubblica” e dava in qualche modo un’apparenza di normalità ad un sistema di controlli che molti ritenevano già compromesso ed inquinato. Da ieri, almeno, è divenuto palese che le autorità indipendenti – nate e volute dalla politica per difendere settori strategici dalla sua stessa invasiva ingerenza – sono ormai entrate anche esse a pieno titolo nella solita dinamica della lottizzazione spartitoria. Altri enti inutili, probabilmente.

Viene quindi meno l’ipocrisia, ma non il problema. Allora, che fare? Impugnare le nomine, secondo qualcuno.  Una posizione in teoria interessante, ma che rischia forse di fare peggio, in concreto.

La competenza a dirimere tali potenziali controversie spetta infatti ai giudici amministrativi, che potrebbero evitare che queste nomine diventino efficaci. Tuttavia, ci si è lamentati che sino ad ora le nomine erano il frutto di “spartizioni politiche” (evidentemente mascherate da nomine tecniche). Ed allora non si può non considerare che i posti più delicati delle Autorithy sono stati occupati negli ultimi anni proprio da giudici amministrativi. Nicola D’Angelo (magistrato TAR) all’AGCOM, Corrado Calabrò (consigliere di Stato) all’AGCOM, Antonio Catricalà (consigliere di Stato) all’Antitrust, Sergio Santoro (consigliere di Stato) all’autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Alessandro Botto (consigliere di Stato) all’autorità di vigilanza sui contratti pubblici, Roberto Chieppa (consigliere di Stato) all’Antitrust, Luigi Carbone (consigliere di Stato) all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e così via. Da anni. Infatti, all’interno della categoria dei giudici amministrativi tali posti sono molto ambiti, perché fanno crescere lo stipendio anche di centinaia di migliaia di euro l’anno, da sommare allo stipendio da magistrato, anche se non si fa più, temporaneamente, il giudice. C’è poi da scommettere che tali posti rimarranno tra quelli oggetti di deroga al tetto stipendiale, ancora da definire con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, altro feudo dei consiglieri di Stato (Catricalà, Carlo Malinconico, Mario Torsello, Filippo Patroni Griffi, Claudio Zucchelli, ecc).

Ed allora … siamo proprio sicuri che i giudici amministrativi siano i giudici più adatti a giudicare su chi deve andare ad occupare questi delicati posti nelle autorità indipendenti, che essi stessi stanno colonizzando da anni, con i risultati che tutti abbiamo visto?

L’ultima chicca, in ordine di tempo, è stato il paventato rifiuto del Presidente del Consiglio di Stato Pasquale de Lise della nomina alla autorità sui trasporti, perché “sottodimensionata” rispetto al proprio profilo…  E tale posizione, ove confermata, la direbbe lunga sullo spirito di servizio con cui i massimi organi della giustizia amministrativa si vorrebbero porre alla guida di organi così strategici per l’importanza del Paese. Autorithy ad personam, anzi ad “consigliere di Statum”, verrebbe da dire.

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