Il giorno dopo la surreale sospensione della partita imposta dai tifosi allo stadio di Genova, arrivano le condanne unanimi, le prese di distanza, ma non mancano nemmeno le polemiche e il rimbalzo di colpe e responsabilità. “Vergogna, vergogna”, dice il numero uno dello sport italiano Gianni Petrucci, presidente del Coni. “Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio”, dice il presidente della Figc Giancarlo Abete. Entrambi poi individuano la nota più dolente della giornata dal punto di vista sportivo: che i giocatori siano stati obbligati in un primo momento a levarsi la maglia. “Sulla maglia non si tratta – spiega Petrucci – è stato commesso un sacrilegio dello sport”.

Sulla stessa linea Abete. Elogiando il comportamento di Sculli, che dopo una trattativa coi tifosi è riuscito a fare in modo che i compagni potessero indossare di nuovo la divisa, dice: “Ha fatto bene. Per quanto la situazione possa apparire complessa, significa arrendersi ad una dimensione di violenza. La maglia, di fronte all’aspettativa di soggetti violenti, non dev’essere tolta”. Perché la maglia è il sacro simbolo di appartenenza e di opposizione, di adesione e rivalità, ma sempre partendo dai valori di lealtà che dovrebbero essere propri dello sport. Obbligare gli atleti a toglierla equivale quindi per Abete a “un rito sacrificale che richiama i tempi antichi, nel senso peggiore del termine”.

Detto dell’epica, il problema ieri è stato la cronaca. Come è possibile che uno sparuto gruppo di tifosi – circa 250 secondo il responsabile dell’ordine pubblico ieri allo stadio Marassi – sia riuscito a fermare una partita di calcio? Chi lo ha permesso? E qui cominciano le polemiche, e si ritorna sul gesto eclatante: quelle maglie mestamente levate dai giocatori. In conferenza stampa il presidente del Genoa Preziosi attacca su tutta la linea, i tifosi ma anche le forze dell’ordine e la questura: “Dispiace che 60, 100 persone hanno l’impunità di dire e fare quello che gli pare senza che si possano controllare e mandare a casa. Non è possibile che si impadroniscano dello stadio e impongano la loro legge. È la polizia che ha chiesto di togliere le maglie su indicazione dei tifosi. Ci devono dare risposte”.

Ma il questore di Genova, Massimo Mazza, non ci sta, e rinvia la responsabilità di quanto accaduto allo stesso Preziosi: “Non vogliamo scendere in polemica, ma ci sono i fatti (…) I giocatori del Genoa si sono tolti la maglia con il consenso del presidente Preziosi. I responsabili delle forze dell’ordine presenti in campo erano contrari e hanno fortemente sconsigliato il presidente di agire in tal senso. Per due volte io stesso, tramite il vicequestore vicario di servizio allo stadio, ho comunicato ai vertici della società di non farlo, perché si trattava di una richiesta ricattatoria e che le forze dell’ordine avrebbero garantito la sicurezza dei calciatori”. Preziosi prima ribadisce – “Mai detto di togliere le maglie” – poi in serata, tramite comunicato ufficiale della società, cerca distensione evidenziando “la pronta risposta data in campo dalle forze dell’ordine, che hanno assicurato provvedimenti di massimo rigore in tempi celeri”.

Adesso pioveranno multe e squalifiche per la società e denunce penali e provvedimenti per impedire l’ingresso allo stadio ai tifosi. Cominciamo dal Genoa. Oggi il giudice sportivo Giampaolo Tosel ha squalificato per due giornate il campo di Marassi. Esclusa invece al momento l’extrema ratio della penalizzazione in classifica. Anche se, nel caso gli investigatori federali già all’opera dovessero nei prossimi giorni accertare la responsabilità del Genoa nell’accontentare i tifosi e far togliere le maglie ai giocatori, si profilerebbe la violazione dell’art. 1 del Codice di Giustizia Sportiva sui doveri di lealtà e probità. Le conseguenze a quel punto per il club genoano, già sull’orlo della retrocessione, potrebbero essere assai pesanti. La maglia sfilata, da sacrilega e blasfema, diverrebbe a quel punto criminale: legalmente e sportivamente perseguibile.

Per punire i tifosi responsabili, saranno invece visionate tutte le immagini a disposizione. Dieci, al momento, i soggetti identificati E’ prevista una pioggia di Daspo, della durata massima di cinque anni e con l’obbligo di firma in commissariato durante le ore in cui si sta svolgendo una partita, per tutti i tifosi individuati. Il Viminale vuole il pugno duro e ha chiesto una punizione esemplare per i tifosi e per chi sarà ritenuto responsabile del loro comportamento: anche alcuni dirigenti della questura genovese potrebbero rischiare. Poi c’è la polemica sulla sicurezza degli stadi. Non è la prima volta che in Italia si assiste a scene del genere. Sempre a Genova nel 1995 fu sospesa la partita tra Milan e Genoa dopo che un tifoso rossonero appartenente a gruppi dell’estrema destra accoltellò a morte il genoano Vincenzo Spagnolo nei pressi dello stadio.

Due anni fa poi lo stadio di Marassi fu teatro della performance dell’ultranazionalista serbo che riuscì a far sospendere la partita tra Serbia e Italia. A partire dagli anni 2000, solo in Serie A sono state sospese per lancio di oggetti in campo o incidenti sugli spalti anche Reggina-Brescia nel 2000, Como-Udinese nel 2002, Torino-Milan nel 2003 e Messina-Empoli nel 2006,. L’11 novembre 2007 fu sospesa la partita tra Atalanta e Milan per gli scontri tra tifoserie e forze dell’ordine dopo l’omicidio di Gabriele Sandri. Ma la sospensione più assurda di un match nel nuovo millennio avviene il 21 marzo 2007, quando allo Stadio Olimpico, a pochi minuti dall’inizio del derby tra Roma e Lazio, si diffonde la voce che un bambino sia morto nei pressi dello stadio investito da un’auto della polizia. Notizia falsa che non impedisce però agli ultras di invadere il campo per fermare la gara e mettere a ferro e fuoco la zona intorno all’Olimpico.

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