Rubriche
di Shady Hamadi

Gaza, un matrimonio e tante condoglianze

Dieci civili uccisi da un missile a Gaza”; “migliaia di profughi palestinesi si sono ammassati a Rafah”. Potremmo andare avanti all’infinito a citare numeri. Ma chi sono questi esseri umani? Come in ogni conflitto, anche Gaza si assiste alla disumanizzazione delle vittime che perdono i nomi, i volti e diventano solo numeri di una sterminata conta. Come Ayman, anonimo e laborioso contabile palestinese, che nel 2014 perde la vita insieme ad altre quattro persone. Il fratello, Ahmed si chiude in se stesso, avvolto nel lutto. Fino a quando l’attivista Pam Baily non gli chiede di scrivere un racconto sul fratello. Dopo revisioni e aggiustamenti nasce un racconto che restituisce dignità e vita a Ayman. Non è più un numero.

Un libro ora tradotto in Italia restituisce alle vittime le loro storie

Ma quanti Ayman ci sono in Palestina? Così nasce l’idea di We are not numbers, un’associazione di giovani che, tramite la scrittura, li aiuta a raccontarsi. Fra i primi a partecipare c’è Refaat al Alareer, professore d’inglese e poeta, ucciso da un raid israeliano nel dicembre 2023. Al Alareer, quasi intuendo il suo tragico destino, prima di morire aveva pubblicato dei versi che fecero il giro del mondo: Se io devo morire, tu devi vivere, per raccontare la mia storia… Che porti speranza; che diventi un racconto.

Tutte queste storie sono riunite in un volume appena tradotto in italiano da Clara Serretta e pubblicato da Nutrimenti. Il testo, Non siamo solo numeri. Voci di giovani da Gaza, è stato curato da Ahmed Alnaouq e Pam Bailey. È un volume denso di storie, di volti, che cominciano dal 2015 – anno della fondazione dell’associazione. Ci sono gli Echi di Gaza di Basma Almaza: una studentessa espatriata in Malesia narra l’angoscia di seguire da lontano l’inizio dell’attacco, in particolare l’ansia per la sicurezza della famiglia con cui riesce a comunicare solo a tratti. E c’è la potente descrizione d’impotenza e la frattura dell’esilio. C’è il grido di Huda Skaik che scrive una lettera immaginaria rivolta al mondo, con un appello a raccontare, ricordare, non voltarsi dall’altra parte.

Poi ci sono i contrasti, quelli fra la morte e l’amore. Tante volte sui giornali ci si chiede se si debba raccontare anche la quotidianità della vita, i momenti belli che sono un paradosso rispetto al contesto di guerra. Un matrimonio e tante condoglianze di Tala Herzallah è incentrato sulla contrapposizione fra la celebrazione dell’amore e la morte. È un racconto simbolico su come la vita e la morte si intrecciano quotidianamente a Gaza.

Non siamo numeri è un testo forte, uno sguardo profondo nella vita dei palestinesi a Gaza. È il tentativo ultimo di dare un nome e un volto a chi perde ogni giorno l’identità perché descritto come “vittima”. Ma chi sono queste vittime? Se vi chiedete quale sia il significato dello scrivere mentre tutto cade, mentre si muore, forse la risposta la trovate qui, fra le pagine di chi ha trasformato la parola scritta nell’ultima arma di difesa.

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