Gaza, quando la città martoriata era capitale della pace
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Gaza, quando la città martoriata era capitale della pace

Nel quinto secolo dopo Cristo, la Scuola di Gaza formava i retori dell'impero bizantino in nome della concordia fra Greci, ebrei, siriani e samaritani. Ma oggi anche l'archeologia è piegata alla propaganda

di Sara Tirrito

Nel V secolo d.C. , mentre l’Impero romano d’occidente collassava sotto i colpi delle invasioni barbariche, nell’angolo sud-occidentale della Palestina fioriva uno dei centri culturali più vivaci del Mediterraneo orientale: la scuola retorica di Gaza, attiva fino alla seconda metà del VI secolo e che portò la città di Gaza a essere definita philómousos, cioè amante delle muse. In quel territorio oggi segnato da conflitti e sofferenze, aveva messo radici un ambiente intellettuale in cui tradizioni pagane e cristiane non solo convivevano, ma si arricchivano l’un l’altra attraverso la lingua franca del greco antico, che veniva insegnato per lavorare nell’amministrazione pubblica e fare da ponte tra le differenze politiche e religiose espresse in quell’area popolata da greci, siriani, ebrei e samaritani.

A differenza dell’attuale Striscia, che si estende su circa 365 chilometri quadrati per circa 2,1 milioni di abitanti sottoposti a severe restrizioni (e diminuiti all’incirca del 6% dal 7 ottobre 2023 all’inizio di gennaio di quest’anno), la Gaza del V-VI secolo era una città cosmopolita e aperta, inserita nelle rotte che collegavano l’Egitto, la Siria e l’Arabia, con un’economia ricca, basata su agricoltura, commercio e artigianato. Era famosa per i vini pregiati esportati in tutto il Mediterraneo, e per il porto di Maiuma, che facilitava non solo il commercio, ma il libero scambio delle idee. Oggi, invece perfino l’archeologia rischia di diventare strumento di divisione piuttosto che di incontro. Ne sono la prova concreta gli scavi annunciati lo scorso maggio dal governo israeliano nell’antica Sebastia, vicino a Nablus, nei territori occupati. Come la Gaza antica, anche Sebastia rappresenta un crocevia di culture: i suoi strati archeologici contengono testimonianze di civiltà sovrapposte, dall’età del Ferro fino all’epoca ottomana. Ora, con un progetto che prevede la costruzione di un centro visitatori e una nuova strada di accesso che esclude le aree sotto controllo palestinese, l’iniziativa – denunciano alcune associazioni – rischia di privilegiare una narrazione storica specifica a favore di Israele e a scapito della complessità culturale del luogo.

Questo uso strumentale della cultura è in contrasto con lo spirito che animava la Gaza tardoantica, definita anzi dagli studiosi un centro di “sincretismo culturale”. I maestri della scuola gazea, pur professando con convinzione la fede cristiana, insegnavano la retorica secondo i canoni atticistici della Grecia del V secolo a.C., attingendo al patrimonio mitologico e letterario del paganesimo. Questo approccio inclusivo permise la sopravvivenza di importanti elementi della cultura classica, creando una sintesi capace di superare divisioni altrimenti insanabili. Tra i nomi più importanti del movimento ci fu Procopio di Gaza (465-528 d.C.), fondatore della scuola, e il suo allievo Coricio, a cui è attribuita l’Apologia dei mimi, opera in cui l’autore difendeva il valore educativo delle rappresentazioni teatrali contro le critiche degli ambienti ecclesiastici conservatori. La scuola formava i retori a rispettare le diverse lingue dell’impero mettendo alla base del ragionamento la filosofia neoplatonica, portata avanti soprattutto da Enea di Gaza (circa 450-518 d.C.), che conciliava platonismo e cristianesimo.

La convivenza tra elementi pagani e cristiani incarnava però anche una concezione della pace fondata sul dialogo e sul rispetto reciproco. Parola chiave era la homónoia (la concordia), intesa non come semplice assenza di conflitto, ma come attiva collaborazione tra le diverse componenti e tradizioni della società. Questa idea di armonia si basava sulla convinzione che le differenze culturali e religiose non erano motivo di divisione, ma arricchivano il tessuto sociale. In un periodo in cui le rivolte samaritane insanguinarono la Palestina, nel 529 d.C, è dalla scuola di Gaza che provengono alcuni dei più accorati appelli alla pacificazione.

Diverse volte, nei testi dell’epoca di Giustiniano I, Coricio elogia gli imperatori che preferiscono la pace ai combattimenti, e parlando a comandanti e governatori bizantini delle province palestinesi sottolinea come la vera concordia nasca dal dialogo e dalla riconciliazione. La crisi dell’impero bizantino, le incursioni persiane e l’invasione araba del VII secolo segnarono la fine dell’esperienza culturale della scuola. Eppure, la sua eredità più preziosa rimane nell’idea che oggi, davanti a un conflitto apparentemente irrisolvibile come quello tra Israele e Palestina, la cultura condivisa e il dialogo, non le armi o l’esclusione, rappresentano gli unici strumenti per costruire una pace duratura.

Un passo simbolico sarebbe fermare il disegno di legge del governo israeliano che punta a estendere la propria legislazione ai siti archeologici della Cisgiordania sulla base del principio che le antichità presenti “non hanno alcun legame storico con l’Autorità palestinese”, un’affermazione che nega la stratificazione culturale millenaria di questi luoghi.

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