Partigiani, ecco i nuovi studiosi: “Siamo storici free lance”
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Partigiani, ecco i nuovi studiosi: “Siamo storici free lance”

La Liberazione ricostruita senza totem, ideologie e senza tacere le violenze: il lavoro antifascista di una nuova generazione di accademici. Greppi, Gobetti, Colombini e altri, tutti 40-50enni: "Stiamo nel dibattito specie in questo tempo di revisionismi"

di Salvatore Cannavò | foto di Danilo De Marco

Sulla Resistenza esiste da tempo una nuova generazione di storici e di storiche. La definizione va intesa in un senso ampio, al di là dell’anagrafe e, come vedremo, oltre la presenza nell’accademia. Un incubatore di questa tendenza storiografica è stato certamente la collana Fact-Checking di Laterza, diretta da Carlo Greppi, 43 anni, Dottorato in studi storici, una lunga presenza nell’Istituto Ferruccio Parri, che l’ha inaugurata con il volume L’antifascismo non serve più a niente. Il filone è stato irrobustito dal libro che ha maggiormente fatto imbestialire la destra oggi al governo, E allora le foibe? di Eric Gobetti, 52 anni, due dottorati, di cui uno con Luciano Canfora e storico “free-lance” per proseguire con Chiara Colombini (52 anni, responsabile ricerca dell’Istituto storico Giorgio Agosti) Anche i partigiani però…, Tommaso Speccher (49 anni, ricercatore presso il Museo ebraico di Berlino), La Germania sì che ha fatto i conti con il nazismo.

A dare forma a questa “sensibilità comune”, come la chiamano molti di loro, ci sono anche la Storia internazionale della Resistenza italiana, ancora di Greppi e Colombini, lo sguardo su I partigiani d’oltremare di Matteo Petracci, 48 anni, Dottorato di ricerca in storia e Cultore della materia in diverse università, le storie di resistenza militare studiate da Isabella Insolvibile, 47 anni, associata di Storia contemporanea all’università Mercatorum, con i libri Cefalonia, il processo, la storia e i documenti o con La prigionia alleata in Italia 1940-1943. Ci sono figure come Davide Conti, 47 anni, anche lui Dottore di ricerca e che allo studio della Resistenza associa anche lo studio sul neofascismo del dopoguerra mentre sicuramente di nuova generazione e dal profilo mediatico più marcato, mentre, per priorità e iniziativa pubblica e mediatica, si può considerare anche il lavoro di Michela Ponzani, 47 anni, docente di Storia contemporanea a Tor Vergata.

Questi storici sono uniti da un metodo di ricerca che lega Cefalonia ai partigiani d’oltremare

In realtà, a parlare con alcuni di loro, l’idea di far parte di una generazione di storici non era stata contemplata: «Sicuramente si è creata un asse di stima reciproca e collaborazione a partire da un piano valoriale» ci dice Carlo Greppi che mette in luce un dato importante per capire la formazione comune: essere cresciuti nell’ambito degli Istituti storici per la Resistenza a partire da quello di Torino la sua città. «Siamo degli storici free-lance» dice scherzando Gobetti e l’ambito degli Istituti, però, oltre a una grande libertà consente di far dialogare figure che in larga parte non sono dentro l’accademia con chi invece ha iniziato a insegnare, come Insolvibile ad esempio.

L’eredità della “Guerra civile” di Claudio Pavone (1991)

Ma c’è un punto di valenza storiografica che viene confermato sia da Greppi che da Gobetti o da Insolvibile con cui abbiamo costruito questa mappatura: essere figli e figlie dell’opera che ha rivoluzionato gli studi sulla Resistenza, Una guerra civile di Claudio Pavone. «Ci ha cambiato lo sguardo» dice Greppi, «è riuscito a mettere le mani dentro quell’enorme calderone di pulsioni partigiane uscendo da dimensioni agiografiche o partitiche o addirittura militari e osservando un fenomeno di dimensioni enormi nella sua complessità e umanità». «Le tre guerre di Pavone – aggiunge Insolvibile – alludono già alla pluralità. C’è la guerra partigiana, ma c’è anche la possibilità di ampliare il discorso. Si esce dalla lettura eroica e da allora in poi, la mia generazione e quella dopo, cambia la propria prospettiva scientifica sulla Resistenza, la declina in altri modi e altre possibilità». «Pavone ha usato letteratura, memoria, diari, fonti dell’epoca, continua Greppi, scrivendo un grande ritratto e tematizzando questioni importanti: una pietra miliare insuperabile. Veniamo tutti da quella grande innovazione”. E così ciascuno dei “nuovi” storici ha poi portato qualcosa: Insolvibile con la Resistenza degli alleati, Colombini indagando la resistenza nel suo farsi mentre Petracci è arrivati ai partigiani d’oltre mare.

Il “vero volto della Resistenza”

La scossa di Pavone è del 1991 e si colloca nel passaggio d’epoca segnato dalla fine della Guerra fredda e dalla fine del sistema partitico italiano della Prima Repubblica. Qui si apre un altro varco di innovazione perché questa schiera di studiosi e studiose si muove in un contesto in cui le ideologie o addirittura le appartenenze politiche pesano molto meno, ci sono spazi di libertà e laicità nuovi. Nonostante le persone di cui parliamo siano graniticamente legate all’antifascismo lavorano in modo meno viziato dalle ideologie. «Questo ha permesso di fare ricerche innovative e originali» spiega Gobetti, «con uno sguardo nuovo, e critico, meno giudicante anche sui passaggi che sentiamo più vicini».

Tutti saldamente antifascisti, ma lontani dall’ideologia e dai toni apologetici

La libertà e la laicità hanno permesso un approccio più distante da una “immagine apologetica, levigata e rassicurante” come lo stesso Pavone definiva ne La guerra civile certe ricostruzioni della Resistenza. E anche di stare in una battaglia culturale dettata dalla novità dei tempi. Gli anni 90 vedono per la prima volta un partito erede del fascismo andare al governo e questa tendenza continuerà fortissima fino al governo Meloni. «Io preferirei fare solo la storica e parlare con le ricerche e gli studi, ma non viviamo in un eremo» dice Insolvibile. E la disputa si è avuta sicuramente sul terreno della ricostruzione storica. Sono gli anni in cui avanza un revisionismo, di destra e di sinistra, sulla Resistenza.

«Il fact-checking di Chiara Colombini sui partigiani» dice Greppi, «è stata la risposta ai libri di Giampaolo Pansa che aspettavamo da due decenni. Lei ha saputo contrastare decenni di revisionismo che hanno annichilito la memoria resistenziale e che si basavano sull’elevare a norma l’eccezione». Il metodo Pansa, poi seguito regolarmente sulle Foibe – capitolo cruciale, come vedremo – è stato infatti quello di evidenziare le pagine più torbide, con episodi agghiaccianti, ipotizzando che quello fosse il vero volto della Resistenza e che comunque contribuisse fortemente a macchiarne il vestito. Colombini con il suo libro «ha dimostrato l’inconsistenza di quelle accuse pur utilizzando dati reali».

Ma la ricostruzione storica ha peccato anche sul lato del progressismo quando si è smesso di confrontarsi con la violenza della lotta partigiana nascondendo questa dimensione nel discorso pubblico. Un po’ quello che è successo con la definizione di “guerra civile” utilizzata da Pavone e che ha disorientato buona parte della sinistra. «Celebrare la lotta armata senza parlarne diventa un esercizio di retorica – spiega Greppi – come quella sulla Costituzione, che però non è sufficiente per capire che stagione è stata quella con il suo sangue, dolore, tragedie e l’umanità delle persone”. Si torna al tema del ruolo che i partiti della Prima Repubblica hanno avuto sulla ricostruzione storica anche se Insolvibile avverte: «Per quanto gli studi precedenti siano avvenuti nel quadro di una realtà dominata dai partiti, gli storici precedenti non sono stati influenzati dalle ideologie e la loro resta una lettura pienamente scientifica».

Spiegare le cose: come per le foibe

Resta però il gusto e il tema della maggiore libertà anche se all’interno di un contesto più rarefatto sul piano della memoria e con la necessità di cimentarsi, o di essere trascinati, nello scontro politico. Del resto, dice Gobetti, essere dentro l’agone politico è una condizione obbligata per noi «storici free-lance» impegnati nella società «in modo politico, anche più di prima». Un modo di fare politica meno ideologico rispetto a prima, senza i partiti di riferimento come negli anni 70 e 80, e quindi più liberi e in condizione di fare della public history. Insolvibile mette di nuovo in evidenza l’attività degli Istituti storici ma anche l’impegno nelle scuole, o nei dibattiti politici perché il nostro «non è solo un lavoro ma un impegno civile. Quello che facciamo è spiegare le cose come sono, facendo continue precisazioni anche sulle definizioni. Parlare di nazisti dimenticando i fascisti è grave e se lo fa un’istituzione dello Stato è scorretto». Si pensi, aggiunge, «a quanti italiani si sono prodotti come collaboratori nei circa seimila episodi di strage registrati in Italia e a quante storie, oltre la storia, possono emergerne».

“Parlare di nazisti omettendo i fascisti è grave. E se lo fa lo Stato è scorretto”

Il discorso non può che approdare allo scontro politico sulla memoria e al ruolo che svolge la destra al governo. La destra «fa un uso spudorato del passato fascista» e il caso delle Foibe è forse quello più evidente. Su questo punto Gobetti, dopo la pubblicazione del suo libro, ha subito minacce e attacchi costanti in cui, se non è rimasto del tutto solo, lo deve proprio a questa generazione di colleghi oltre che alla solidità della casa editrice Laterza che lo ha difeso, anche legalmente. «Le Foibe sono la punta di lancia della campagna di criminalizzazione della Resistenza» spiega e «si tratta di uno scontro che non è storiografico perché nessuno storico serio sostiene certe ricostruzioni, ma riguarda l’uso politico della memoria e la capacità di influire sull’immaginario collettivo». Un lavoro che passa per l’utilizzo della Rai, del cinema, della fiction, con l’obiettivo di «mettere in discussione nel profondo la nostra democrazia. Se la Resistenza è criminalizzata allora si può buttare via anche la Costituzione per scriverne un’altra». Sulle Foibe, del resto, il problema è che tutto l’arco costituzionale sostiene le stesse tesi – «perfino i discorsi del presidente Mattarella in occasione del 10 febbraio adottano uno sguardo parziale e talvolta storicamente scorretto» – e quindi un lavoro di precisazione storica conduce a un isolamento estremo.

A questa trappola dello scontro politico Greppi propone «di farsi trovare sempre un passo più in là, con una strategia che dovrebbe essere quella di sorprendere l’avversario introducendo temi e sguardi spiazzanti». Come i lavori di Petracci sugli africani e sugli afrodiscendenti nella Resistenza, «una mossa del cavallo che attualizza un tema che può sembrare polveroso e vecchio e rendendolo più utile a parlare dell’Italia di oggi». Uscire quindi dalla difensiva «e ricostruire la bellezza di quegli anni parlando di anti-razzismo e anti-colonialismo». E immaginando, a partire da questi nuovi sguardi, di preparare la strada a nuovi storici, a una nuova generazione che possa raccogliere quello che si è seminato.


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