Controverso, ironico, politicamente scorretto o addirittura cattivo. Martin Parr ha rivoluzionato e diviso il mondo della fotografia. Capace di trasformare l’ordinario in straordinario, la normalità in eccezione, la banalità in senso comune. Con la naturalezza di una traiettoria imprevista è diventato il più celebre narratore per immagini della crisi e degli eccessi della globalizzazione, della middle class impoverita, della working class sconfitta e della lussuria dell’ upper class. Autore di una sorta di affresco sulla storia recente della lotta tra classi, ma senza lotta. Perché il fotografo inglese non evidenzia le contraddizioni, ma fa emergere e esplodere la comune assurdità del vivere quotidiano.
Con il suo stile inconfondibile sovverte i criteri di empatia e pulizia della fotografia umanista di Cartier-Bresson (che lo osteggia nell’ingresso all’agenzia Magnum perché “apparteniamo a due sistemi solari differenti”) e si scosta anche dall’eleganza della street photography di Vivian Maier o Saul Leiter. Ai lettori di MillenniuM potrebbe ricordare il nostro grande Umberto Pizzi per la capacità di rappresentare il grottesco. Oggi le sue immagini sono icone pop esposte nei più grandi musei del mondo (MoMA, Tate Gallery, Pompidou), ma i suoi primi lavori destarono scalpore – e a volte disgusto – nell’Inghilterra ancora puritana degli anni ’80.

Il pasto nudo in una cappella battista in un sobborgo di Halifax. Sul lungomare di Blackpool invece va in scena l’abbandono della lotta di classe

A febbraio, dopo l’anteprima alla Festa del cinema di Roma nell’ottobre 2024, è uscito nelle sale il documentario I Am Martin Parr (del regista Lee Shulman) che ne celebra vita e carriera artistica. Nato nel 1952 a Epsom, nei sobborghi di Londra, Parr inizia a scattare negli anni ’60 in bianco e nero, grazie all’impulso del nonno appassionato membro della Royal Photographic Society. Il suo sguardo, sempre attento a particolari che sfuggono ad altri occhi, si rivolge al mondo della classe media a cui appartiene, con grande attenzione alle trasformazioni in atto: la crisi degli anni ’70 e il thatcherismo (“che odiavo”) degli anni ’80. Il passaggio da un bianco e nero narrativo a un colore più espressivo avviene proprio in questo cambio d’epoca che nel Regno Unito ha il suo baricentro.
A partire dal 1970 frequenta la scuola di fotografia del politecnico di Manchester e per mantenersi lavora come fotografo in un villaggio vacanze, dove probabilmente sviluppa la passione per l’umanità in villeggiatura, centrale nella sua produzione.

Tra il 1983 e il 1985 realizza il progetto che lo rende celebre (e anche molto criticato) nel mondo: The last resort è il primo lavoro in cui immortala il turismo di massa, sulle spiagge ultra affollate di Brighton, sobborgo balneare di Liverpool, dove si materializza la crisi della classe operaia. Tra tappeti di rifiuti a terra, cibo spazzatura, abbronzature rubate sull’asfalto, sovraffollamento in ogni luogo, Parr evidenzia una realtà cruda e spiazzante per la morale benpensante abituata alle cartoline estive. La mostra e il libro hanno un effetto dirompente. Le foto, né posate, né rubate, sono scattate con una tecnica inedita, il flash utilizzato anche negli spazi aperti rende i colori più accesi e le immagini iperrealistiche.
Questa cifra stilistica rimane costante per tutta la carriera dell’autore, anche se si enfatizza con il tempo. I colori diventano sempre più saturi, gli scatti si concentrano spesso su particolari, con l’utilizzo di un obiettivo macro, con cui il fotografo riesce ad avvicinarsi a persone, oggetti e cibo, che si esaltano nelle grandi stampe delle tante mostre (l’ultima Short & Sweet, realizzata anche in Italia nel 2024) o negli oltre cento libri pubblicati.
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Mentre sulla sabbia di Brighton si combatte la battaglia per un posto al sole

Nel 1994, dopo l’iniziale opposizione del fondatore Cartier-Bresson che riteneva la produzione dell’artista inglese offensiva e denigratoria nei confronti dei soggetti ritratti, viene ammesso all’agenzia Magnum, di cui diventa anche Presidente nel 2014. Nel 2023 un’importante mostra, chiamata non a caso Réconciliation mette insieme per la prima volta le opere dei due fotografi, affiancando alcuni scatti del maestro francese realizzati in Inghilterra nel 1962 agli scatti balneari di Parr a Brighton. Assonanze e dissonanze creano un’effetto straordinario per un evento storico nel suo genere.

Nel bel libro-intervista edito da Contrasto nel 2012 (Martin Parr, fotografo promiscuo) si definisce così perché capace “di mescolare l’alto e il basso”. Questa la chiave che lo ha accompagnato nel corso della sua lunga carriera, nella critica del mondo globalizzato (con la serie Common sense), dell’overtourism sempre più diffuso (nel celebre Small World), del consumismo gastronomico. Il suo sguardo dissacrante, incompreso agli esordi, oggi diventa una lente fondamentale per leggere l’esistente, fuori dall’edonismo compulsivo di un capitalismo onnivoro.

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