L’Italia governata dall’ultradestra meloniana starebbe procedendo ad ampie falcate verso una deriva “illiberale”. È questa l’accusa che sempre più di frequente si sente lanciare dai banchi dell’opposizione, sia essa parlamentare o mediatica.

In particolare, i continui attacchi alla magistratura e alla stampa, cui fanno seguito progetti che potrebbero minarne indipendenza e potere di controllo, accompagnati dalla possibile introduzione del premierato – con ciò che comporterebbe nei termini di diminuzione delle prerogative del Presidente della Repubblica – fanno gridare a molti al rischio della trasformazione del nostro regime politico in una “democrazia illiberale” sul modello dell’Ungheria di Orbán.

Un nuovo regime in cui il potere politico riesce a tenere sotto scacco, grazie a un sistema di nuove norme, di nomine nei posti chiave e di rimozione e repressione contro i non allineati, quello giudiziario e quello mediatico (sulla subordinazione del potere legislativo all’esecutivo pare invece che Meloni non debba sforzarsi, visto che è un processo già piuttosto avanzato, cui ha contribuito chiunque abbia governato negli ultimi anni).

Nelle ultime settimane queste denunce si sono moltiplicate. Vuoi per l’avanzare del progetto di premierato, vuoi per le censure televisive e il tentativo da parte di Angelucci, parlamentare leghista e grande proprietario di cliniche private, di acquisire la seconda agenzia di stampa italiana, l’Agi, così da poter consolidare un polo mediatico dell’ultradestra (possiede anche Libero, Il Giornale, Il Tempo).

Sorprende allora ancor di più il silenzio che le stesse anime pie che si indignano di fronte all’attentato alle libertà fondamentali oppongono ai violenti attacchi a un diritto la cui conquista è costata tante battaglie e, purtroppo, anche tanto sangue: il diritto allo sciopero. Per rimanere agli ultimi casi, negli ultimi mesi del 2023 abbiamo avuto il divieto del 17 novembre contro lo sciopero di Cgil e Uil e quello del 15 dicembre contro lo sciopero dell’Usb (precettazione bocciata dal Tar del Lazio, che ha parlato di “violazione di legge ed eccesso di potere”).

Giovedì 16 maggio Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ha ordinato l’ennesimo divieto. Stavolta per uno sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici di Trenitalia e Trenitalia-Tper, convocato dallo scorso 1° aprile dai sindacati Cub, Sgb e Usb per domenica 19 maggio. La lettura delle cinque pagine dell’ordinanza 199 T è un esercizio utile da molti punti di vista. Innanzitutto perché aiuta a fare piazza pulita della retorica di cui veniamo inondati ogni volta che uno sciopero, invece, ha luogo.

Nell’ordinanza si scrive, ad esempio, che “nel settore dei trasporti la coincidenza oraria di più scioperi ne estende inevitabilmente gli effetti pregiudizievoli, così da determinare una crescente lesione del diritto dei cittadini alla libera circolazione”. Quindi, quando tre sindacati (Usb, Sgb e Cub) si organizzano insieme affinché lo sciopero ricada in un’unica giornata non va bene, perché rischia di essere troppo efficace e che troppi mezzi di trasporto rimangano nei depositi, lasciando a piedi i cittadini.

Ma quando invece i sindacati agiscono in ordine sparso il potere politico e mediatico tuona ugualmente: troppi scioperi, troppe giornate perse, troppi cittadini che non possono godere del loro diritto alla mobilità (quando treni e bus non passano perché le flotte sono in uno stato disastroso non conta, invece). La lezione è che, comunque si faccia, lo sciopero – per il potere politico e mediatico – è sempre sbagliato.

Scorrendo l’ordinanza si arriva a un altro dato interessante: “Alla luce di quanto verificatosi in occasione di precedenti astensioni dal lavoro promosse dalle medesime Organizzazioni dei lavoratori, si prevede che la partecipazione ai richiamati scioperi sarà consistente”. Concetto ribadito, numeri alla mano, poco dopo, quando si mettono nero su bianco gli esiti dei precedenti scioperi: per Trenitalia “sciopero del 12 febbraio 2024: circa 40% di treni soppressi e sciopero del 23-24 marzo 2024: circa 60% dei treni soppressi”. Per lo sciopero vietato del 19 maggio si stimava una “soppressione complessiva dei treni Alta Velocità, InterCity e Regionale di almeno il 50%; analogamente, la Società Trenitalia-Tper ha stimato una soppressione del 60% dei treni rispetto all’offerta ordinaria”.

Ma come? Quindi gli scioperi funzionano? E allora ve lo vietiamo!

Ma qual è l’interesse tutelato dal ministro Salvini, nascosto dietro la necessità di garantire il diritto alla libera circolazione dei cittadini?

Domenica 19 maggio, giornata prevista per lo sciopero, era in programma il Gran Premio dell’Emilia Romagna di Formula 1 (leggendo l’ordinanza, scopro che la denominazione corretta è “Gran Premio del Made in Italy e dell’Emilia-Romagna”). Il Ministero prevede l’afflusso di circa 200mila persone. Ed è proprio per salvaguardare questi “significativi flussi turistici” che lo sciopero viene vietato. Vuoi mettere il diritto allo sciopero di fronte al diritto di assistere a un Gran Premio automobilistico?

In quest’opera di censura di uno sciopero di lavoratori e lavoratrici, Salvini trova diversi alleati. Tra questi anche il sindaco di Imola Marco Panieri che, con una nota del 16 maggio, mette nero su bianco la richiesta al ministro di valutare “l’adozione di idonee misure atte a garantire la mobilità pubblica sul territorio locale e nazionale […] al fine di scongiurare disservizi e disagi per l’utenza”. Difficile, in effetti, immaginare misure più idonee di una proibizione, visto che il ricorso a crumiri sarebbe un tantino più complicato. Ovviamente il sindaco di Imola è un giovane Pd in rampa di lancio.

La dimostrazione che, a difendere gli interessi del grande capitale e dei grandi eventi, c’è un partito unico trasversale che non si fa scrupoli a calpestare i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Piero Calamandrei diceva che “lo sciopero è stato prima un reato, poi una libertà e infine un diritto”. Oggi il rischio non è che torni a essere formalmente reato, contra legem, ma che, passo dopo passo, divenga fuori legge.

L’obiettivo, per loro, è sempre ridurre il potere dei lavoratori; svuotare lo sciopero delle sue potenzialità, più che eliminarlo formalmente, è la tattica che vediamo dispiegare sotto i nostri occhi, quotidianamente. Per noi allora, a maggior ragione, diviene chiave rimettere al centro la difesa delle armi del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori cui dobbiamo – sempre bene un esercizio di memoria – ogni conquista di cui godiamo.

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