Il Mose funziona, ma fino a quando potrà farlo? La durata di vita delle dighe mobili alle bocche di porto di Venezia, che formano il sistema di difesa dalle acque alte, era stata stimata in un secolo. Rischia però di dover essere ridimensionata perché tra quarant’anni, se utilizzato troppo spesso, il Mose potrebbe manifestare un invecchiamento tecnico preoccupante, dovuto anche ad un super-lavoro (e super costo) richiesto dall’innalzamento del livello del mare. Con l’occhio degli scienziati che cercano di scrutare il futuro di un’opera complessa e controversa, alcuni ricercatori dell’Università Ca’ Foscari hanno analizzato le prospettive funzionali, rapportate alla situazione della Laguna di Venezia e all’evoluzione dell’ambiente. I risultati, pubblicati sulla rivista Regional Environmental Change, non sono confortanti.

L’invecchiamento del Mose (che non è stato ancora collaudato, pur essendo in funzione) si potrebbe manifestare già tra 40 anni, ovvero verso il 2060. Inoltre, “nell’ultimo quarto di secolo se il Mose venisse attivato con previsioni di marea a partire da 110 centimetri sul medio mare, potrebbero essere superati i 50 giorni consecutivi di chiusura della Laguna”. Questo significherebbe uno stress che si manifesterebbe comunque tra il 2060 e il 2070, e che verrebbe rallentato solo se si diminuissero le operazioni di innalzamento delle barriere. Siccome oltre i 110 centimetri gli effetti dell’acqua alta si fanno sentire in molte parti della città, bisognerebbe ipotizzare altre forme di difesa.

I ricercatori fanno qualche esempio: ridurre la subsidenza, cioè l’abbassamento di coste e fondali, pompando acqua marina nelle falde; prevedere dighe di protezione del litorale, come avviene in Olanda; spostare il porto in mare aperto, perché altrimenti sarebbe penalizzato dal numero eccessivo di alzate delle paratie.

Carlo Giupponi, docente di Economia ambientale è il coordinatore dello staff di ricerca. Spiega: “I risultati evidenziano l’importanza di integrare e rivedere le strategie di salvaguardia della città, considerando l’innalzamento del livello del mare e le sue implicazioni economiche e ambientali”. In prospettiva, quindi, si profila “un approccio integrato, socioeconomico e ambientale, capace di gestire con efficacia i possibili scenari futuri, per proteggere questo patrimonio unico”.

La preoccupazione è dovuta al fatto che l’aumento del numero delle chiusure “porrà sfide alla sostenibilità dell’infrastruttura a medio e lungo termine sollevando allarme per l’impatto sulla qualità dell’ecosistema lagunare”. Il fatto è che il progetto del Mose risale ormai al secolo scorso, quando i cambiamenti climatici non avevano la portata odierna. Negli anni ‘80 i tecnici non si ponevano il problema del cambio climatico, oggi molto evidente. Ed è proprio questo cambiamento a ripercuotersi su un progetto che appare datato.

Lo studio compara tre diverse dimensioni. Innanzitutto la città di Venezia che richiede di essere tenuta all’asciutto, ma che è inserita in un contesto lagunare. Poi il porto commerciale che risente in termini di danno economico quando le barriere del Mose impediscono il normale flusso di navi. Infine le modalità di gestione del Mose, che condizionano lo stato di salute della struttura. La ricerca calcola la possibile crescita del livello del mare (con due scenari che vanno dai 40 ai 75 centimetri) e combina i parametri dal 2023 fino alla fine del secolo. I benefici del sistema Mose sono superiori ai costi quando si riferiscono all’impatto sull’economia della città. La preoccupazione è quella della sostenibilità tecnologica.

“L’infrastruttura potrebbe reggere un’attività così intensa? Difficile stimarlo con le informazioni oggi disponibili, ma gli autori evidenziano che anche ponendo un ipotetico tetto di 50 chiusure l’anno (oltre 10 volte il limite pianificato), il MoSE potrebbe risultare eccessivamente stressato già attorno al 2060 nello scenario climatico peggiore e appena un decennio dopo nell’ipotesi di efficace contenimento del cambiamento climatico”.

Le strategie da seguire sarebbero due. “Nel breve-medio periodo, ridurre le chiusure per mantenere l’infrastruttura, ad esempio alzando la soglia oltre gli attuali 110 centimetri di marea. Questo implica proteggere i punti della città che verrebbero comunque sommersi fino alla soglia di attivazione del Mose”. Per quanto riguarda il lungo periodo, “serve definire e sperimentare fin d’ora nuove strategie per affrontare la crescita del livello del mare quando il Mose non sarà più sufficiente”.

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