di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Secondo Liberties, un’organizzazione che si occupa della salvaguarda dei diritti umani nell’Unione Europea, in una democrazia moderna “lo scopo di una stampa libera è quello di assicurare che il popolo sia libero di ricevere e diffondere informazioni che non siano manipolate o al servizio di una particolare persona, organizzazione o interesse. Il suo compito, infatti, è spesso quello di indagare sulle persone di potere, e soprattutto sul governo, di porre domande difficili e cercare di scoprire cosa sta realmente accadendo, indipendentemente dalle conseguenze politiche”.

Indubbiamente Lucia Annunziata è una giornalista con un curriculum stellare con incursioni esterne al mestiere, arrivando a ricoprire il ruolo di presidente di garanzia della Rai, nominata dai presidenti di camera e senato dell’epoca (Casini e Pera). Certamente fare la presidente della Rai con un governo, quello di Berlusconi, di cui poco si poteva condividere rese impossibile la gestione del ruolo da cui diede presto e giustamente le dimissioni. Ma il mestiere di giornalista, o di conduttore, credo sia diverso da quello di presidente di azienda e credo che, a meno di una accertata impossibilità di fare domande e di svolgere il ruolo così come definito da Liberties, anche in Rai non sia e non debba essere necessario condividere le scelte del governo, ma solo avere la certezza di poter fare “domande difficili indipendentemente dalle conseguenze politiche”. Quindi non riesco a comprendere il senso della lettera delle dimissioni attuali di Lucia Annunziata: “Vi arrivo perché non condivido nulla dell’operato dell’attuale governo, né sui contenuti, né sui metodi”. Che c’entra?

Forse sono appannato dal pregiudizio su come non solo l’Annunziata ma la gran parte dei giornalisti hanno trattato vicende fondamentali per la vita di questo Paese (dalla guerra ucraina alla santificazione quotidiana di Draghi, dalla elezione del presidente della Repubblica al Mes e via dicendo), ma le motivazioni delle sue dimissioni mi pare gettino più un’ombra sul suo operato passato che sul governo attuale. Leggendole qualche malizioso potrebbe ritenere che fino ad oggi, nel suo ruolo di giornalista, abbia fatto più da cassa di risonanza dei governi precedenti che informazione e domande scomode.

Solo a titolo di esempio, se è vero che uno dei motivi di disaffezione al voto degli italiani sia il trasformismo, la recente nomina di Di Maio a inviato europeo nel Golfo avrebbe dovuto suscitare tormentate puntate dei talk show nazionali su tutta l’opaca gestione del Palazzo dell’ultima fase del governo Draghi, di cui Di Maio fu protagonista. Né si possono ignorare questioni di opportunità nella nomina di Bernardo Mattarella ad amministratore di Invitalia al posto di Arcuri, vittima, in attesa di conferme dei tribunali, di una vera e propria campagna denigratoria.

Ho l’età giusta per immaginare la canea che su questi episodi ci sarebbe stata nella Prima Repubblica, che ne faceva di cotte e di crude ma con più pudore e stile, ma con una stampa, a partire da Repubblica e l’Espresso dell’epoca, molto più agguerrita e attenta nel controllo della gestione del potere.

Per me l’Annunziata ha fatto due errori. Il primo: non ha tenuto botta fino a poter dimostrare di non poter fare il proprio mestiere, e quindi ha fatto un inutile processo alle intenzioni del governo. Il secondo: aver detto in sostanza che in Rai lei ci sta solo se condivide la politica del governo di turno. Quindi se c’è stata fino ad ora significa che ha fatto da ‘cassa di risonanza’ dei governi precedenti? Insomma come interpreta il mestiere di giornalista?

Una riflessione profonda e una autocritica feroce su come i media hanno gestito l’informazione in Italia sarebbe urgente e necessaria. Fino ad allora non stupitevi della freddezza con cui la pubblica opinione accoglie le denunce di lottizzazione e quant’altro contro il governo attuale.

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