Giacomo Valle, 33 anni, è un ingegnere neurale specializzato in bionica e bio-robotica, professore alla Chalmers University di Göteborg, in Svezia: nel 2021, con il suo prototipo di arto bionico chiamato “MyLeg”, è arrivato quarto nella classifica degli scienziati italiani under 30 stilata dalla rivista Forbes. È partito da Genova, dal liceo classico Cristoforo Colombo, quello in cui ha studiato anche Fabrizio De Andrè: “Io tornerei in Italia, mi piacerebbe tantissimo, se solo potessi fare lì quello che riesco a fare qui”, chiarisce subito. Nonostante la formazione classica, “ho sempre preferito le materie scientifiche”, racconta, “così dopo la maturità ho deciso di iscrivermi a ingegneria biomedica, dove mi sono avvicinato alla bionica, una materia che mi attirava quasi fosse fantascientifica, con tecnologie che permettono di collegare arti bionici al cervello”.

Gli studi in Svizzera – Dopo la triennale all’EPFL di Losanna, con il master scopre le applicazioni pratiche delle tecnologie che studia: “È stata una svolta, ho capito che nella mia vita avrei voluto fare quello”. In quegli anni collabora come research assistant a un progetto sulla “mano robotica”, protesi controllate intuitivamente che percepiscono il tatto e il calore e regolano la forza della presa, vedendo l’entusiasmo dei pazienti che recuperano funzionalità inattese. Per elaborare i risultati del trial clinico, effettuato al Gemelli di Roma per conto del laboratorio svizzero, consegue il dottorato alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa e nel 2019 inizia il post-doc all’ETH di Zurigo, dove con il collega Stanisa Raspopovic decide di “traslare dal braccio alla gamba” la tecnologia che aveva testato. Così Valle lavora ai primi prototipi di questa “protesi bidirezionale per l’arto inferiore” ed effettua i trial clinici a Belgrado, “dove purtroppo”, spiega, “c’è un altissimo numero di persone amputate a seguito delle guerre nei Balcani, e quindi molti pazienti che necessitano di protesi”.

I progetti scientifici – Il contatto diretto e continuo con i pazienti, racconta Valle, è emotivamente coinvolgente: “Anche perché le protesi sperimentali richiedono 10-15 anni per diventare disponibili, quindi vediamo pazienti che testano un device che migliora decisamente la qualità della loro vita, però difficilmente potranno accedere a quella tecnologia in tempi brevi”. Lo scienziato genovese si industria per accelerare il processo e sviluppa “MyLeg”, “un sistema meno invasivo e più rapido da impiantare”, spiega. La start-up legata al progetto ottiene quasi un milione di euro di finanziamenti, ma nel 2022 Valle sceglie di lasciare il timone a una collega per dedicarsi alla carriera accademica. Per due anni studia a Chicago altri progetti sperimentali di bionica e interfacce neurali: ”Parliamo di cose fenomenali. Immaginate un paziente tetraplegico, che non può muoversi, al quale si impiantano degli elettrodi che gli permettono di tornare a esprimersi, comunicare e controllare le cose, sostanzialmente estraendo direttamente dal cervello questi stimoli”. Lo scorso aprile ha l’opportunità di tornare in Europa come professore, con un suo laboratorio di bionica alla Chalmers University of Technology di Göteborg, dove ora segue progetti su pazienti amputati e con lesioni spinali.

“In Italia salari inadeguati” – Da sempre, quasi per definizione, l’ambito della ricerca scientifica conduce a diverse esperienze all’estero. Tuttavia Valle sottolinea le difficoltà di tornare in Italia una volta affermati a livello internazionale: “In tutti i laboratori che ho girato, tra i senior scientists ho sempre trovato qualche italiano, e tutti tornerebbero volentieri”, spiega. Gli elementi che rendono difficile farlo, però, sono le prospettive di carriera e il sostegno alla ricerca: “Cosa dovrei consigliare a un ragazzo che volesse fare ricerca in Italia, se l’aspettativa di un dottorando è di prendere 1.300 euro senza contributi previdenziali, quando va bene? A pari livello, dove in Italia riconoscono tra i 1.200 e i 1.400 euro, all’estero arrivano ai tremila. La Svizzera è un caso a parte, ma anche la Spagna offre salari più alti. Come può un dottorando vivere a Milano con 1.300 euro? È improponibile”. Non è solo un problema di giovani costretti a emigrare, ma anche di fondi che ci si lascia scappare: “I brevetti sviluppati dai laboratori dove ho lavorato hanno portato benefici alla Svizzera e agli Stati Uniti, ma degli scienziati che ci lavorano pochissimi sono svizzeri o americani. L’Italia spende per la nostra formazione e i benefici vanno altrove, a chi sa attrarre”.

“Per tornare servono stimoli e garanzie” – Eppure, Valle non rinuncia al sogno di ritornare: “A livello di valori sociali, clima e cultura, l’Italia ha molti vantaggi. In America il sistema è davvero privo di protezioni sociali, per non dire dell’ossessione “lavorolavorolavoro“. Qui nel Nord Europa, o in Svizzera dov’ero prima, a livello di tutele e servizi non ci si può lamentare, ma resti comunque uno straniero, senza contare le esigenze familiari”. Per chi decide di tornare in Italia ci sono le agevolazioni fiscali, “ed è un’ottima iniziativa. Ma l’ostacolo maggiore è dato dal fatto che le posizioni libere per scienziati e ricercatori con dieci anni di esperienza propongono 2.500 euro al mese, su città come Milano o Roma, senza garanzie di rinnovo”. Dal punto di vista economico, è chiaro che “uno scienziato che prende seimila euro in Germania, e magari si è costruito una famiglia, fatichi a tornare in Italia per prenderne meno della metà. Ma non è solo una questione economica, per tornare servono anche stimoli e garanzie di poter continuare a lavorare con risorse tecnologiche e umane adeguate. Finché le condizioni rimarranno queste, sarà davvero difficile essere ottimisti riguardo al futuro della ricerca in Italia”.

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