Errare humanum est (perseverare autem diabolicum)”. La frase ha un padre illustre: Seneca il Giovane. Un intellettuale di duemila anni fa, quando a Roma andavano di moda le bighe e i combattimenti dei gladiatori. Il concetto espresso da Seneca è come Roma: eterno. Le semifinali europee di calcio, per dire, sono state segnate da sbagli di diverso genere, decisivi. Hanno riportato questo sport a una dimensione di normalità. Negli ultimi decenni, da Arrigo Sacchi in poi, si è infatti imposta nel calcio una cultura, e di conseguenza una discussione, sul lato scientifico della disciplina più popolare del mondo. Numeri, statistiche, elaborazioni di programmi fino all’ultima moda, quella degli algoritmi, importata dal baseball statunitense. Il football ha assunto la dimensione di una scienza, più o meno esatta, più o meno imperfetta. Ci sono allenatori che, con aria seria, parlano del calcio come del teorema di Pitagora o di un sistema di equazioni. Critici/giornalisti/ex giocatori discutono di diagonali, distanze, ampiezza di campo, percentuali, numeri e dati. Abbiamo persino due partiti: “giochisti” e “risultatisti” (la Treccani ci perdoni). Guelfi e Ghibellini. I duelli infiammano i social: fioretto, sciabola, spada, a voi la scelta. Il duello, del resto, secondo un docente di storia dell’Università di Edimburgo, Victor Kierman Gordon (1913-2009) è nato in Italia e si è poi diffuso in Europa.

All’improvviso, l’errore. Zac, come un colpo di fioretto. Roma-Bayer Leverkusen: il gol dell’1-0 regalato ai tedeschi da uno svarione di Kardsdorp. Roma-Leverkusen: rete divorata da Abraham al 94’, sullo 0-2. Fiorentina-Bruges: lettura sbagliata dell’azione da parte di Ranieri al 63’, con i viola avanti 2-1 e un uomo in più, 2-2 e belgi riportati in quota. Real Madrid-Bayern Monaco: mezza papera del portiere Neuer, fino a quel momento straordinario, all’88’, sul punteggio di 1-0 per i bavaresi. Morale: 1-1 di Joselu che firmerà tre minuti dopo il 2-1. Bayer Leverkusen-Roma: uscita a vuoto di Svilar – migliore in campo fino all’attimo fatale – all’83’, con i giallorossi avanti 2-0, autogol di Mancini e addio miracolo. Finirà 2-2.

La morale della favola è che, scienza o non scienza, vince chi sbaglia meno. Oggi, come nel calcio di ieri e di cento anni fa. Non esiste la partita perfetta, anche se Annibale Frossi, ala dell’Italia medaglia d’oro ai Giochi di Berlino 1936, affermò un giorno che il risultato perfetto era lo 0-0 proprio per questa ragione: zero errori. Zero a zero uguale partita perfetta, ma usando un francesismo, che pal…! L’errore nobilita il calcio. Lo riporta alla sua natura, fatta in buona parte di imprevedibilità. Rende meno monotono lo spettacolo. Alimenta il dibattito: a Roma si parlerà per giorni dell’uscita a vuoto di Svilar – ostacolato da Smalling a sua parziale scusante – e del sogno-rimonta svanito sul più bello. L’errore è come un bel gol: colora il calcio. È fonte di emozioni, stordimenti, rodimenti. È la componente umana che ammutolisce la scienza (presunta). È il colpo di teatro che sconvolge il copione. Alla fine, scienza o meno, vince chi sbaglia meno. Concetto lapalissiano, ma tremendamente efficace. Possiamo inquadrare una partita con le cifre, basandoci su numeri e statistiche, elaborando le migliori tattiche possibili, ma alla fine l’errore azzera tutto. L’astronave ritorna sulla terra. E il calcio torna a essere calcio: il palo, il ciuffo d’erba e l’errore governano il destino e la scienza dovrà farsene una ragione.

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