“Quando arrivarono i comunisti la Rai venne parlamentarizzata, la Dc aveva l’uno, i socialisti il 2, i comunisti il 3. Anche Berlusconi, a parte qualche gesto di ferocia come l’editto bulgaro, un gesto di collera ‘divina’, non chiedeva tanto. I suoi pensavano alle ballerine. Questi no. Sono arrivati per imporre una visione del mondo”. A dirlo, in un’intervista alla Stampa, è Corrado Augias, giornalista e scrittore, conduttore e divulgatore tv, una vita nella tv pubblica (in cui entrò nel 1960 per concorso). L’obiettivo di chi governa e di chi gestisce oggi il servizio pubblico è “ricominciare daccapo con una contronarrazione rispetto a quella costituzionale” dice Augias. “Ma è una narrazione rozza, infantile, approssimativa – puntualizza Augias – Nata nelle conventicole del Movimento sociale, mentre stavano a rimuginare tra loro pieni di rancore e di frustrazione perché erano stati tenuti fuori”. Nel suo ultimo libro, una autobiografia un po’ particolare (La vita s’impara), Augias tra l’altro scrive: “Ho frequentato la Rai per sessant’anni, ho assistito all’ingresso di tutte le ondate, dai socialisti ai berlusconiani, ai grillini. Tutti chiedevano posti e qualche briciola di potere. Gli ultimi arrivati invece non chiedono solo posti, il loro obiettivo è cambiare la narrazione culturale”.

Il caso della cancellazione del monologo dello scrittore Antonio Scurati? “Un gesto fanatico e stupido” che “si spiega solo con lo zelo del funzionario che crede di aver capito che è arrivato il momento di poter fare una cosa del genere, perché il clima lo permette”. E invece “si è sbagliato. È stata una mossa sciocca e controproducente”. Nelle redazioni si misurano le parole, dice Augias, evocando senza volerlo quanto ha raccontato ieri nell’assemblea Usigrai la cronista di RaiNews24 Enrica Agostini.

Lo sciopero Rai è stato boicottato da un sindacato appena nato per difendere il governo, gli ricordano. “Un sindacato tecnicamente giallo – spiega ancora Augias – cioè il sindacato del padrone come c’era alla Fiat nei tempi delle contrapposizioni industriali più dure, alla Rai non c’era mai stato. È incredibile quel che accade”. Quello che lo scrittore e intellettuale teme è “il modello Orbàn. Un restringimento dello spazio democratico progressivo, indolore, come la storia della rana bollita“. E i segni di questo sono “limiti alla magistratura, limiti ai poteri del presidente della Repubblica, una riforma che porta alla capocrazia. È lì che si arriva, nell’inavvertenza delle masse che hanno altri problemi, altre preoccupazioni. O se ne fregano”.

Come si ferma questa voglia di espandere i propri poteri? Con un “contropotere che lo limita”, dice Augias, che in questo momento “può nascere da un trauma economico, non da altro. Gridare al fascismo è inutile e controproducente. È un messaggio che arriva solo a persone che non hanno bisogno di ascoltarlo”. Fa bene Meloni a non dirsi antifascista?, gli chiede ancora Annalisa Cuzzocrea. “Certo – risponde il giornalista – Perché non lo è e perché deve arrivare all’8 giugno con il massimo possibile di forza elettorale, dai camerati di Acca Larentia alla borghesia impaurita dall’impoverimento“. L’alternativa? “Finché non troverà un equilibrio tra diritti civili e diritti sociali non ce la farà”. E il Pd, in particolare, è “troppo diviso”. “Non sono mai stato comunista – prosegue Augias – ma ricordo con quale apprezzamento noi liberali di sinistra gobettiani guardavamo il cosiddetto centralismo democratico. Dicevamo: in Italia ci sono tre cose serie, il Vaticano, i carabinieri e il Pci. Forse si salvano i carabinieri”. Ho dimenticato di chiederle di Vannacci, è l’ultima domanda di Cuzzocrea. Augias ribatte: “Non ne vale la pena”.

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