Meglio salvare i prosciutti di San Daniele, che lasciare liberi nelle campagne e nelle colline i cinghiali, possibili portatori di peste suina. Sarà così necessario abbattere entro la fine dell’anno 4mila artiodattili, a costo di avvalersi dell’Esercito, oltre che dei cacciatori. È questo uno dei ragionamenti che hanno portato la Regione Friuli Venezia Giulia a predisporre un piano di sicurezza sanitaria, visti i casi di peste suina africana (Psa) riscontrati nei cinghiali in mezza Italia. Il direttore regionale del Servizio prevenzione, sicurezza alimentare, sanità pubblica e veterinaria, Manlio Palei, spiega: “Se la peste suina africana entra negli allevamenti saremo costretti a chiudere per un anno il commercio della carne e quindi dei prosciutti di San Daniele. In quel caso scatterebbe il blocco delle esportazioni verso i Paesi terzi”. Di qui la prospettiva di impiegare l’Esercito: “Lo faremo solo se i cacciatori non riusciranno a collaborare – ha detto Palei – ma abbiamo già avviato la formazione dei militari per consentir loro di agire in sicurezza”.

Al momento il Friuli Venezia Giulia risulta indenne dalla peste, ma anche per questo l’Unione europea e il ministero della Salute hanno disposto l’obbligo di preparare un Piano di interventi urgenti nell’arco di un triennio. Il Piano è ora allegato a una delibera che è stata presentata in giunta regionale dell’assessore Stefano Zannier. Prevede la riduzione della densità sul territorio dei cinghiali e la sorveglianza passiva per individuare l’eventuale presenza della malattia.

Sono state individuate tre zone che non hanno vocazione alla presenza del cinghiale, di cui sarà ridimensionato il numero. C’è una zona gialla, in un raggio di 15 chilometri da San Daniele del Friuli, dove si concentra il maggior numero di prosciuttifici. Nei 39 comuni dell’area (tra cui Trasaghis, Gemona, Castelnovo del Friuli, Sequals, Pasian di Prato, Osoppo, Tricesimo e Spilimbergo) saranno prelevati 930 capi. C’è poi una zona rossa, con vocazione per allevamenti suinicoli (con capacità superiore ai 2mila capi), che comprende 34 Comuni (tra cui Pordenone, Fiume Veneto, San Vito al Tagliamento, Casarsa della Delizia). Lì saranno prelevati 500 cinghiali. Infine, c’è una zona azzurra di protezione dal fronte epidemico (altri 43 Comuni, tra cui Trieste, Gorizia e Monfalcone) che si estende dalla valle del Natisone a Basovizza. Lì è previsto il prelievo di altri 2.500 cinghiali.

Al momento si stanno effettuando controlli passivi, ovvero analisi virologiche sui cinghiali trovati morti (anche per incidenti stradali). La delibera regionale fa riferimento anche all’utilizzo da parte delle forze militari “di droni per la ricerca delle carcasse, per il recupero attivo delle stesse, nonché per gli abbattimenti”. E’ previsto l’impiego di gabbie per catturare i cinghiali, con conseguente “abbattimento immediato”, ma potrà anche essere valutata “la sedazione e lo spostamento degli animali nella sede della Protezione civile di Bertiolo e nell’ex macello di San Daniele, dove l’abbattimento verrà effettuato successivamente, trascorsi i tempi di sospensione degli anestetici utilizzati, al fine di destinare le carni al consumo alimentare umano”.

Manlio Palei ha rassicurato che “la peste suina non colpisce l’uomo” sottolineando però che la trasmissibilità può avvenire dall’animale selvatico al maiale. Sullo sfondo della selezione, anche le lamentele degli agricoltori che denunciano la presenza del cinghiale un po’ in tutta la regione. Contro quella che ha definito “la condanna a morte dei cinghiali del nostro territorio” è insorta la consigliera regionale del Movimento 5 Stelle, Rosaria Capozzi, che assieme alla coordinatrice regionale Elena Danielis e la coordinatrice provinciale di Gorizia Ilaria Dal Zovo, ha reso noti alcune statistiche: “Sono irrisori i dati degli investimenti effettuati per opere alternative all’abbattimento. Probabilmente costa meno sparare. Infatti, sono 53mila i cinghiali abbattuti dal 2000 al 2023, una media di sei al giorno”.