Alla fine Antonio Scurati il discorso sul 25 aprile lo ha letto. Non in un programma della Rai, dove lo ha pronunciato la conduttrice Serena Bortone, ma alla festa di Repubblica a Napoli. Un momento contrassegnato da un lungo applauso finale, una standing ovation dei presenti nel cortile d’onore del Palco reale e il grido dalla platea “Viva l’Italia antifascista”. Durante la lettura del testo l’autore di M ha anche inserito qualche “fuori programma”, come li ha definiti. Lo fa quando parla del fascismo stragista e dice: “Non solo prima della guerra e durante la guerra, ma anche nel dopoguerra fino a tutti gli anni Ottanta”. “Pensavo che la Rai fosse anche mia, del resto è di tutti, è dello Stato italiano – ha detto Scurati nella successiva intervista sul palco – ma alla fine mi hanno detto ‘tu non entri‘, come un ospite indesiderato. Si è perso il senso di democrazia in questo Paese”. Scurati dice di non voler “essere e fare la vittima”, è la premessa di ogni risposta. “Non posso trovarmi in questa posizione di eroe della democrazia, non voglio fare il paladino” ripete. Anzi: “Mi sono innervosito dopo che in seguito al post della Meloni sono stato costretto a fare una replica. Ma io non voglio fare la vittima”, ha spiegato. Più avanti dice che non se la sente proprio di “passare per l’eroe della libertà d’espressione: vorrei uscire da qui fumarmi una sigaretta e mangiarmi una pizza”.

Tuttavia “dopo che accadono delle cose arriva la paura, esci di casa e guardi a destra e sinistra. La tua vita è già cambiata”. In che senso? “È duro, faticoso, doloroso, sono un privato cittadino che legge e scrive libri e all’improvviso per aver fatto lo scrittore mi ritrovo al centro di una polemica politico-ideologica accanita, spietata e fatta di attacchi personali denigratori che mi dipingono come un profittatore, quasi come un estorsore, quando l’agenzia che mi rappresenta aveva negoziato un semplice ingaggio totalmente in linea con quello degli altri scrittori che mi avevano preceduto. Poi qualcun altro mi ha dipinto come una specie di estorsore. Il problema è che questo qualcun altro non è uno qualunque, è il capo del Governo”.

Per questo Scurati riprende il concetto già espresso nella sua replica alla premier sabato sera: “Devo dire che questo tipo di aggressione non fisica è una forma di violenza. Come ho vissuto la giornata di ieri? Male. La verità è che, al netto di una piccola vertigine momentanea e narcisistica, è duro, è faticoso, è doloroso“. “Quando un leader politico di tale carisma, come sicuramente è la presidente del Consiglio Meloni, che ha un seguito molto vasto, nel cui seguito da qualche parte là sotto, vista anche la storia politica da cui proviene, c’è sicuramente qualche individuo non estraneo alla violenza, probabilmente non molto equilibrato, quando il capo punta il dito contro il nemico e i giornali, o meglio i ‘giornasquadristi’ fiancheggiatori del governo ti mettono sulle prime pagine, con il titolo sotto ‘l’uomo di M.’, ti disegnano un bersaglio intorno alla faccia. Poi magari qualcuno che mira a quel bersaglio c’è. Succede, è già successo”. Più precisamente a scrivere “l’uomo di M.” – con l’ambiguità che il lettore potrà capire tra il titolo della saga di cui è autore Scurati – è stato Libero, con relativo editoriale di Mario Sechi, in cui ha definito Scurati un “censurato immaginario” e “scrittore-partigiano a gettone”.

Quanto poi al merito della questione – che si è persa nella polemica della censura della Rai e al quale alla fine la premier non ha mai risposto – lo scrittore spiega perché la seconda parte del suo discorso era rivolta proprio alla presidente Meloni. “Mi attengo alla superficie visibile delle cose, non c’è bisogno di dietrologie, leggo la storia di queste persone, tendo ad adottare come romanziere una prospettiva storica sugli eventi. Sembra semplicissimo, vediamo da dove viene, dalla militanza giovanile nel Movimento sociale italiano fondato da Almirante e Romualdi, i servi degli aguzzini tedeschi, i massacratori, i fucilatori“. E, continua, “il loro motto è sempre stato non rinnegare, non restaurare. Un motto al quale ancora oggi ci si attiene. Ecco direi che è così”. Scurati giura di non essere “ossessionato” dal tema fascismo (“Ho scritto 11-12 libri e non c’è mai un riferimento al fascismo, ho anche altri interessi”), non c’è niente di “personale”. Viceversa, ribadisce, “sono loro che non vogliono dire quella parolina e che non vogliono fugare le ombre e recidere quel legame. Le ombre camminano con loro“.

C’è anche un risvolto più strettamente politico, secondo Scurati, di tutti questi ragionamenti. Lo scrittore sostiene che “gli avversari della democrazia liberale, della democrazia compiuta e matura, sono già qui, in alcuni Paesi già governano. I nemici o gli avversari della democrazia liberale non marciano su Roma, ci arrivano vincendo le elezioni. Poi erodono le basi della democrazia liberale con le riforme, a volte censurando qui o lì, ma magari attraverso una riforma costituzionale. Però noi progressisti non dobbiamo avere paura, perché la paura è la passione politica della destra sovranista”. “Non aspettate il ritorno delle squadracce fasciste – è il richiamo dello scrittore – E’ mia opinione che la democrazia corra dei rischi da parte di leader e movimenti che hanno un largo seguito popolare e che ritengono superata, inetta, vecchia e corrotta la democrazia liberale, così come noi l’abbiamo conosciuta e come si esprime nel nostro Parlamento, garantito dalla nostra Costituzione”.

Infine a Scurati viene chiesto qual è il modo per difendere la libertà d’espressione. Qui l’effetto è un po’ straniante perché le domande vengono poste anche dal direttore di Repubblica Maurizio Molinari che non più tardi di due settimane fa ha blocca un articolo sgradito all’editore e mandato al macero 100mila copie di Affari e Finanza. Non è la Rai, non è una testata pubblica, la controparte non è il premier, ma il contesto non aiuta a delimitare i confini del dibattito sulla libertà d’espressione. Ad ogni modo a Scurati tocca una risposta “politica” e la risposta è questa: “Non c’è modo migliore per imparare l’arte della parola libera che esercitarla. Ce la possiamo fare anche noi a tenere la testa alta. Non ho ricette su come difendere la parola o formule magiche o preghiere da insegnare a nessuno, penso che tutti noi dobbiamo ritrovare il gusto, l’ebbrezza, la vertigine della parola franca e libera e del parlare e della politica, di tentare di risolvere problemi collettivi con mezzi collettivi e non ridurre tutto a questioni personali“.

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