Diventare papà per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a spostare sempre più avanti nel tempo, più di quanto si faccia negli altri Paesi europei. I più recenti dati Istat indicano, infatti, che in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, mentre in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2 anni, in Inghilterra e Galles a 33,7 anni. Un fenomeno sempre più frequente rispetto al passato che riguarderebbe circa il 70% dei nuovi papà italiani: ciò significa che 1 uomo su 3 è ancora senza figli oltre i 36 anni d’età. Probabile che su questo trend agiscano anche fattori di carattere economico e sociale, con una crescente difficoltà per i giovani nel raggiungere retribuzioni che permettano di mantenere adeguatamente dei figli.L’Italia, inoltre, non spicca per generosità delle sue politiche a sostegno della natalità.

Una tendenza a ritardare la paternità che non è priva di conseguenze: numerose evidenze scientifiche dimostrano che le caratteristiche funzionali dello spermatozoo, la morfologia e anche i danni al DNA peggiorano con l’aumentare dell’età. A tutto questo si aggiunge al fatto che con l’avanzare degli anni aumenta il tempo di esposizione agli agenti inquinanti esterni e anche i cambiamenti climatici con l’aumento della temperatura globale hanno anch’essi un impatto negativo sulla fertilità maschile, dimostrato dalla riduzione volumetrica dei testicoli nella popolazione generale. Per questo, in vista della Festa del Papà, gli esperti della Società Italiana di Andrologia puntano i riflettori sull’importanza di anticipare la paternità e, dove non possibile, di preservare la fertilità fin da giovani, principalmente attraverso un sano stile di vita, ma anche con il contributo di sostanze di estrazione naturali in grado di offrire protezione contro i danni del tempo e degli inquinanti ambientali esterni.

“In Italia – spiega Alessandro Palmieri, presidente SIA e docente di Urologia all’Università Federico II di Napoli – l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ’90 ai circa 36 attuali, che pongono il nostro Paese in cima alla classifica dell’età media del concepimento in Europa. Questo significa che nel giro di pochi decenni si è passati da una situazione nella quale solo una ridotta minoranza arrivava senza figli all’età di 35 anni a una nella quale la maggioranza della popolazione maschile rinvia oltre questa soglia anagrafica la prima esperienza di paternità. La nostra società sta assegnando alla riproduzione un ruolo tardivo, dimenticando che la fertilità, sia maschile che femminile, ha il suo picco massimo tra i 20 e i 30 anni e che la potenzialità fecondante del maschio è in netto declino”.

Secondo uno studio pubblicato da Nature, ogni anno in più del padre comporterebbe un incremento di 1,51 nuove mutazioni genetiche nei figli, il 25% in più rispetto a quelle che dipendono dalla madre. Un altro studio, pubblicato sempre dalla rivista britannica, suggerisce che i figli di padri anziani hanno rischio più alto di autismo e schizofrenia nei figli. “In definitiva, così come la fertilità femminile, anche quella maschile, è tempo-dipendente – conclude Palmieri -. È dunque fondamentale sfatare il mito dell’uomo fertile a tutte le età e promuovere invece strategie di informazione, prevenzione della fertilità maschile cominciando dalla giovane età, poiché una volta instaurati i danni non sono reversibili”.

Articolo Successivo

Via i preti sposati dall’agenda del Sinodo: il Papa vuole portare la Chiesa a precise riforme

next