Seduti all’esterno della trattoria “Al Vecio Ritrovo” – a San Martino di Colle Umberto, provincia di Treviso, sulla strada provinciale che da Pordenone porta a Vittorio Veneto – non si può non notare la facciata di una casa in cui sono affissi una bicicletta da corsa, la foto di un uomo in giallo, un tubolare d’epoca. La scritta sul muro indica che poco più in là c’è la casa nativa di Ottavio Bottecchia, il primo italiano a vincere cento anni fa il Tour de France. A soli trecento metri dal bar, gestito da discendenti di Bottecchia e infatti anche qui si trova un’incisione su metallo raffigurante il ciclista, c’è un’antica mola (un piccolo mulino con maglio e fucina) che da qualche settimana ospita, grazie all’impegno della Pro Loco presieduta da Tiziana Gottardi, il piccolo ma delizioso Museo Ottavio Bottecchia. Nel suggestivo luogo, aperto tutte le prime domeniche del mese, si possono trovare una bici del ciclista, una maglia gialla, gli occhiali da gara, un orologio donato dalla squadra con cui correva i giri in Francia e parecchie foto. È il primo museo interamente dedicato al ciclista veneto. Tre pronipoti (i loro nonni erano fratelli di Ottavio) hanno donato quanto avevano in casa del loro antenato più famoso. Da tempo volevano che il campione venisse ricordato dopo anni di oblio.

Domenico e Franco sono fratelli, hanno entrambi passato gli ottanta e di cognome fanno Bottecchia. Sono nati nella stessa casa in cui sono cresciuti Ottavio e il loro nonno. Domenico ha provato in gioventù a fare il ciclista, si allenava e custodiva la bici come un tesoro, ma il padre a un certo punto gli ha fatto capire che era meglio per tutti che si dedicasse a tempo pieno al lavoro. La passione per il ciclismo è rimasta a tutti e tre, ai due fratelli e anche a Renato Zarpellon, che non porta il celebre cognome ma è parente due volte: la nonna paterna era la sorella di Ottavio e la madre era la sorella di Caterina, la moglie del fuoriclasse. “Siamo felici – racconta Renato a ilfattoquotidiano.it – perché qui di Bottecchia si erano dimenticati un po’ tutti. Gli abitanti del paese e gli amministratori. Non se ne parlava molto neanche nella nostra famiglia, anche la moglie Caterina, che mi è capitato di interrogare, quando ero piccolo, non toccava mai l’argomento di sua iniziativa. Mi faceva un gesto con la mano come a dire lascia perdere, è passato tanto tempo”. Il mistero della morte di Ottavio Bottecchia infatti non è mai stato risolto.

Ottavio ebbe una carriera da ciclista breve ma da record, vincendo due Tour de France di fila, uno addirittura tenendo la maglia gialla dal primo all’ultimo giorno. Morirà giovane a 33 anni non ancora compiuti, in circostanze mai completamente chiarite. Inizia l’avventura da ciclista dilettante a quasi 26 anni nella primavera del 1920, dopo essere tornato con la medaglia di bronzo al valor militare dalla Prima Guerra Mondiale. Passa professionista nel 1922 e l’anno dopo partecipa al Giro d’Italia e soprattutto al Tour de France come gregario di Henri Pellissier, da capitano forse avrebbe potuto arrivare prima al successo che invece ottiene nel 1924. Mai nessun italiano ci era riuscito. Nel 1925 replica e vince ancora. “Botescià” iniziano a chiamarlo i francesi. Con i soldi guadagnati sistema tutta la famiglia, quella che sta costruendo con la moglie Caterina e quelle dei parenti più stretti. Nel maggio del 1927 viene raggiunto, mentre è a Parigi a correre, da una notizia terribile: il fratello Giovanni a cui è molto legato è morto investito da un’auto (di proprietà di un gerarca fascista). Torna in Italia, vuole che la famiglia del fratello abbia giustizia, anche economica. Ma non accetta la bassa proposta che gli arriva dal fascista. Ottavio ha sempre cercato di tenersi il più distante possibile dalle ingerenze, che ci sono state anche nello sport, del partito fascista. I suoi ideali sono di ispirazione socialista. Pochi giorni dopo, è il 3 giugno 1927, Ottavio, che era uscito ad allenarsi da solo, viene ritrovato in strada gravemente ferito nel comune di Trasaghis, in Friuli. Morirà il 15 giugno 1927. Rimane il mistero. Banale caduta in strada, agguato fascista o altro ancora? Impossibile risolvere il giallo un secolo dopo.

Il funerale fu triplice: Gemona del Friuli, Pordenone e Colle Umberto. Tantissimi coloro che si presentarono per l’ultimo saluto ad Ottavio. Tra questi fu difficile individuare politici e i campioni italiani della sua epoca. Presente invece il collega ravennate Michele Gordini, un paio d’anni più giovane. Gordini ebbe 17 figli da due diversi matrimoni, il più giovane Bartolomeo è tuttora uno dei più preparati maestri di pugilato. “Mio papà e Ottavio erano amici – ricorda “Meo” a ilfattoquotidiano.it – nel Tour del 1925 alla sera trovavano insieme un posto in cui dormire dopo le tappe. Mio padre ricordava sempre che era l’unico che in salita aveva più forza di lui, quando morì è come se ne fosse andato un fratello. Mio papà e Ottavio erano entrambi socialisti di Turati, parlavano chiaro senza nascondere le proprie idee. Mio padre era convinto che c’entrassero i fascisti nella morte dell’amico. Anche lui stesso aveva subito delle ripercussioni per non aver preso la tessera del partito fascista. Stava vincendo il giro di Toscana, quando in strada subì un agguato, quasi lo ammazzarono con una chiave da otto, ebbe la cicatrice fino a quando morì nel 1970”. “Ottavio era un uomo generoso – continua Zarpellon a ilfattoquotidiano.it – così come lo è stato il figlio Danilo, morto prematuramente. Anche il ragazzo era molto forte in sella ad una bici, ma non aveva la fame del papà per fare il corridore. Personalmente ho il rammarico che una bici di Ottavio, che era qui in casa, non sia oggi a San Martino, ma da tempo al museo di ciclismo di Portobuffolé”.

Negli ultimi anni di vita Bottecchia era andato ad abitare a Pordenone e nelle strade friulane avrebbe avuto il tragico incidente. Lo stadio di Pordenone (così come del resto il campo sportivo di Colle Umberto) è dedicato a lui. Negli anni in Friuli più che in Veneto hanno ricordato il ciclista. Siamo in una terra di confine tra le due regioni, e oggi i più tendono a pensare erroneamente che Ottavio fosse friulano. La nascita del museo potrà cambiare le prospettive della memoria collettiva italiana.
In paese c’è un un monumento che ricorda il campione e il suo gregario Alfonso Piccin. Anche nel luogo dell’incidente, a un’ora abbondante d’auto, nel comune di Trasaghis, provincia di Udine ce ne è uno. “Quando passo di là – dice commosso Domenico – è sempre un’emozione. Non ero nato quando successe la tragedia, ma è comunque una parte della mia famiglia che se ne è andata per sempre”. Ottavio è sepolto nel cimitero di San Martino, dal centro della frazione c’è un piccolo colle da scalare. Il camposanto è piccolo, la tomba famigliare si trova in fondo a destra. Renato ha posizionato una bella foto del ciclista in maglia gialla. Qui ci sono tanti Bottecchia e altrettanti Vendrame sepolti, gli appassionati che venivano da fuori per mettere un fiore sulla tomba o dedicargli un pensiero non trovavano mai il luogo della sepoltura. Ora è più semplice da geolocalizzare. Ottavio è sepolto con la moglie Caterina, i figli Danilo, Elena e Fortunata Vittoria. A breve ci sarà anche una rappresentazione teatrale e la manifestazione ludico sportiva “Inseguendo Bottecchia”. Il museo, oltre ad attirare i curiosi, si aprirà ai più piccoli delle scuole e ai ragazzini che fanno mountain bike con la squadra locale che porta il nome di Bottecchia. Nell’anno del centenario della prima vittoria italiana del Tour de France, la corsa a tappe più importante al mondo, parte dall’Italia: per quattro giorni percorrerà i luoghi di Bartali, Coppi, Pantani, Nencini. I luoghi di Ottavio Bottecchia sono rimasti fuori. Chi sta cercando di tenere in vita la memoria del fratello del nonno vorrebbe essere presente sulle strade ad ammirare emozionati il passaggio della maglia gialla.